Draghi, anelli e tv epica — House of the Dragon, ep. 3

L’uscita di Rings of Power evoca un confronto tra ledue serie fantasy, mentre una novità si profila nel futuro dello show HBO

Sara Mazzoni
13 min readSep 13, 2022

Questo articolo su House of the Dragon esiste anche in formato audio per il podcast Attraverso Lo Schermo. Lo trovate su tutte le piattaforme principali.

Dopo 3 puntate, si è capita una cosa: questa serie tv ha dei valori di produzione altissimi, nel senso che si fa di tutto per renderla bella e cinematica. Anche di Game of Thrones si è spesso potuta dire la stessa cosa. Non a caso, uno dei due showrunner di questa prima stagione è Miguel Sapochnik, uno dei registi più rinomati di Game of Thrones.

Vi ho già parlato di lui nel primo episodio del podcast su House of the Dragon, e ho già sottolineato l’importanza dello stile visivo nel secondo. Torno sul ruolo di Sapochnik perché è uscita una notizia piuttosto importante riguardo al futuro della serie.

Qualche giorno fa, il magazine The Hollywood Reporter ha annunciato che Sapochnik lascerà House of the Dragon e non parteciperà alla prossima stagione.

Una notizia del genere poteva rivelarsi pesantissima per il fandom: l’impronta di Sapochnik è proprio quella riconoscibilissima che fa distinguere lo show da tutto il resto della televisione attuale.

Dei tre episodi già usciti, Sapochnik in realtà ha diretto soltanto il primo. I due successivi sono stati affidati all’esperto regista tv Greg Yaitanes, che ha fatto un lavoro incredibile, tant’è che a mio parere le sue puntate sono ancora più belle di quelle girate dallo stesso Sapochnik.

Però credo che il merito sia anche suo, dello showrunner Sapochnik, perché il compito che ha in questo contesto probabilmente è proprio quello di dare un’impostazione generale.

Sapochnik, a mio parere, ha stabilito l’estetica, lo stile e le scelte di regia proprio dalla sua doppia posizione di showrunner e regista. Traggo queste conclusioni perché se guardate alcuni suoi episodi di Game of Thrones, è facile trovare più somiglianze con House of the Dragon che col resto della serie madre.

Pensate al famosissimo episodio di Game of Thrones, Battle of the Bastards, quello con Jon Snow che combatte per riprendere Winterfell. È girato con uno stile un po’ strano rispetto a tutto il resto. L’impostazione — se mi passate il termine — è più da “cinefestival”. Oggi si parlerebbe anche scherzosamente di “vibrazioni da A24”, in riferimento alla casa di produzione nota per la ricercatezza dei suoi film, spesso bizzarri e inquietanti al limite del manierismo.

Nei gruppi di cinefili online, parlare di “A24 vibes” ormai è diventato un meme, perché oggi qualsiasi cosa sia lievemente anticonvenzionale e sinistra viene bollata così, nonostante un certo stile sia sempre esistito. Però ecco, seguendo il meme, mi viene da dire che Sapochnik e House of the Dragon hanno un po’ di questa vibrazione. Pensate alle sequenze quasi mute di questo episodio, a cominciare dall’incedere solenne delle inquadrature che rimpallano i punti di vista di Daemon con la bandiera bianca e Crabfeeder che esce dalla grotta chiedendosi cosa accidenti stia succedendo.

L’abbandono di Sapochnik non è totale, perché resterà produttore esecutivo. La decisione di andarsene è stata sua, stando a quanto riportato dai giornali. Sapochnik continuerà a collaborare con la HBO. Sembra insomma che se ne sia andato per lavorare a progetti nuovi, invece di rimanere intrappolato nell’universo di Game of Thrones per il resto della sua carriera.

Alla notizia del suo abbandono, il fandom non si è scatenato né si è messo a lutto, perché è stato subito indicato come suo rimpiazzo alla regia Alan Taylor. Se fosse stato fatto un sondaggio per individuare il sostituto più desiderabile, penso che il fandom avrebbe risposto proprio con questo nome.

Taylor infatti è stato il regista di alcuni degli episodi più amati di Game of Thrones. Per dirne uno su tutti: Baelor, il penultimo episodio della prima stagione. Sì, è proprio quello in cui Ned Stark incontra la sua fine. La scena della decapitazione è uno dei momenti più intensi e drammatici dell’intero show, non solo per il suo contenuto ma anche per le scelte registiche effettuate da Taylor.

È difficile dimenticare il modo in cui viene restituito il punto di vista di Ned Stark sul patibolo e quello di Arya tra la folla. Come se non bastasse, Taylor ha diretto anche il finale della prima stagione, Fire and Blood, quello in cui Daenerys entra nel fuoco assieme alle uova di drago e alla strega urlante. Sono momenti che mi sono rimasti tatuati nella memoria fin dalla prima volta che li ho visti.

Passando al terzo episodio di House of the Dragon, anche questa volta ci troviamo di fronte a vari momenti indimenticabili. Le sequenze di battaglia che aprono e chiudono la puntata sono tra le più curate che abbiamo mai visto in queste serie. In quelle finali, Matt Smith non pronuncia nemmeno una parola, dimostrando ancora una volta di essere il Lord delle micro-espressioni.

La puntata è generosissima col fuoco di drago. Le fiamme non possono mai mancare in ogni episodio di House of the Dragon. Sono simbolo dei Targaryen assieme ai draghi. Fin qui, hanno illuminato qualsiasi scena notturna e qualsiasi interno buio. Nessuno si lamenterà mai di scene o puntate troppo scure, come invece accadeva con Game of Thrones.

È inevitabile che a rimanere impresse siano le sequenze più spettacolari. Ma House of the Dragon sta approfondendo anche un altro fronte: quello del dramma familiare. La puntata inizia con un salto temporale di due anni, un fatto insolito, mai visto in Game of Thrones. In generale, non è un espediente che si usa spesso dopo soltanto due puntate di una serie tv. Qui si fa sentire la derivazione dal libro, che a sua volta non ha il classico impianto da romanzo, più affine alla struttura di una serie. Ne consegue che il ritmo televisivo scelto per House of the Dragon sia piuttosto originale.

Questo salto ci coglie alla sprovvista, perché la puntata precedente si concludeva col fidanzamento del re. Era facile aspettarsi magari la scena del matrimonio, oppure la suspense legata alla gravidanza di Alicent e al sesso del nascituro. Ancora una volta, House of the Dragon sorprende con una scelta obliqua, che bypassa tutta questa roba e va dritta al secondo compleanno del fratellino della principessa Rhaenyra.

La serie ha la missione di portarci dentro ai personaggi, ai loro desideri e ai loro conflitti. Ci si dedica in modo certosino. L’asse primario è quello della famiglia. L’ossatura di questi tre episodi è costituita dal triangolo di rapporti tra re Viserys, sua figlia e suo fratello.

Lo spaccato di vita familiare e regale a cui assistiamo in questa puntata è complicato sia per Rhaenyra, sia per Viserys, di cui seguiamo in buona parte il punto di vista. L’attore Paddy Considine fa a sua volta un gran lavoro espressivo, che serve a delineare il tormento che lo affligge nella gestione del regno e della figlia.

La regina adolescente Alicent in questo episodio è testimone di come un padre possa anteporre il bene della propria figlia a tutto il resto. Si tratta di un’esperienza che lei non ha mai avuto con il suo. Il paragone tra Viserys e Lord Hightower salta all’occhio, rafforzando l’intensità della relazione padre-figlia raccontata dalla serie col focus su re e principessa.

Otto Hightower ancora una volta risulta odioso nello sforzo di manovrare ogni cosa. Molti paragonano il personaggio a Littlefinger proprio per questa passione per l’intrigo e la scalata sociale. Secondo me invece è impossibile non vedere tracce di Tywin Lannister in lui. Tywin veniva caratterizzato dalla determinazione. Era un personaggio indifferente ai sentimenti dei figli, che però in un certo senso rappresentavano tutto per lui. Anche Lord Hightower porta avanti un concetto astratto di retaggio familiare, che a questo punto si traduce nella necessità di piazzare il nipotino sullo scranno puntuto.

In Game of Thrones, l’intera psicologia del patriarca Lannister era protesa al conseguimento dello stesso risultato. Voleva assicurare la sua legacy, e parlava di se stesso e dei figli come di attori che dovevano servire un bene più alto del proprio: quello della casata. Il bello di Tywin era la dualità che aveva su questo punto: da un lato, trattava i figli come pedine, ma allo stesso tempo era sempre pronto a fare fuoco e fiamme qualora uno di loro fosse minacciato — accadeva persino con Tyrion, la sua pecora nera. Ogni Lannister era parte di un piano più grande. E tutto il resto del mondo era nemico, come si ripetono Jaime e Cersei molte volte durante la serie.

Otto Hightower non ha ancora dimostrato l’inclinazione leonina di Tywin, pur condividendone l’ambizione e la determinazione. Ma non ne ha ancora avuto bisogno: per ora la sua prole è in una posizione di grande privilegio. Ecco, forse Otto è un Tywin più giovane, quello che non vediamo in Game of Thrones: il Tywin dell’epoca in cui viene combinato il matrimonio tra sua figlia e il nuovo re.

In questa puntata, sono importanti alcuni eventi simbolici collegati agli animali. Inutile dire che questi animali diventano vittime della violenza umana, in scene abbastanza crude — , siamo pur sempre in uno spin-off di Game of Thrones. Tra le bestie che se la cavano meglio ci sono i granchi del Crabfeeder, abbondantemente nutriti — in questo caso, hanno la peggio gli umani, Crabfeeder compreso. Parlando invece di animali fantastici, facciamo la conoscenza di un terzo drago. Si tratta di Seasmoke, cavalcato da Laenor Velaryon, un personaggio evidentemente da tenere d’occhio.

Grossa parte dell’episodio è ambientata durante una battuta di caccia, che fa riecheggiare nella nostra memoria quella in cui veniva ferito a morte Robert Baratheon. In questo caso, la rappresentazione è più realistica: c’è un enorme entourage, la corte del re; Viserys non caccia per davvero, ma viene servito della preda, un cervo praticamente impacchettato perché il re lo possa uccidere con comodo.

Nella storia stessa, il cervo cacciato rappresenta un presagio di regalità. Se fosse stato un cervo bianco, il presagio sarebbe stato in favore del principino Aegon. Ma è Rhaenyra a incontrare il cervo bianco, e a lasciarlo andare via illeso. La principessa è meno gentile con un cinghiale che cerca di ucciderla. Dopo che Ser Criston lo abbatte, è la ragazza a pugnalare a morte l’animale in uno sfogo rabbioso che la ricopre di sangue dalla testa ai piedi.

Questo sangue è importante, perché attesta la ferocia della principessa davanti all’intera corte. Vengono enfatizzati gli sguardi di approvazione degli uomini che hanno appena assistito alla patetica esecuzione del cervo da parte del re: Viserys non è nemmeno riuscito a ucciderlo al primo colpo.

Il sangue su Rhaenyra si collega simbolicamente a quello abbondante e viscido che ricopre Daemon dopo l’uccisione di Crabfeeder. Il pirata è rappresentato in maniera disumanizzata: il suo aspetto è mostruoso e non lo sentiamo mai pronunciare una parola. Ha la funzione di animale sacrificale per stabilire l’intensità della potenza del terzo Targeryen, Daemon, così come accadeva con il cinghiale e il cervo nelle altre scene. Anche se non vediamo il momento in cui Daemon taglia in due il pirata col suo spadone, la scena non risparmia nulla in ambito gore, mostrando Daemon che trascina un pezzo del torso di Crabfeeder con tanto di budella pendenti.

L’ostentazione del body horror è un elemento che fa parte di House of the Dragon e si inserisce perfettamente nel panorama televisivo del 2022. C’è stata una perdita di innocenza, su questo fronte, come possiamo notare dallo spargimento di sangue e interiora sempre più abbondante in serie come The Boys. In generale, ci sono meno remore del solito a mostrare scenari horror anche in serie che non lo sono per davvero, come accade nella quarta stagione di Stranger Things. Ne ho parlato nella puntata del mio podcast dedicata alla serie Netflix.

Il sangue che vediamo su Rhaenyra e Daemon rafforza la posizione di entrambi, perché ne dimostra la potenza creando consenso e alleati fedeli. Questo sangue stabilisce anche un collegamento simbolico tra i due personaggi, in contrapposizione con la figura di Viserys. Il re però ha in comune con gli altri due la stessa cocciutaggine. Lo dimostra reagendo in maniera ostile alle continue sollecitazioni a far sposare Rhaenyra. Sono una famiglia di bastian contrari. Persino il più debole, Viserys, ha la tendenza a incaponirsi per fare di testa sua.

L’altro evento che ha preceduto l’uscita di questa puntata, è stato il lancio della serie Amazon Rings of Power, ossia il nuovo adattamento dell’universo narrativo del Signore degli Anelli. Disclaimer: io non sono particolarmente fan né di Tolkien, né dei film di Peter Jackson. Ho un grande rispetto per tutto questo materiale, ma non lo amo e non ne ho una conoscenza da nerd. Quindi il mio punto di vista su questa materia è totalmente esterno a quello del fandom.

Menziono la partenza di Rings of Power perché non si può ignorare il fatto che ci sono non una sola, ma ben due costose serie fantasy che escono in contemporanea e generano tonnellate di hype. È quindi ipocrita fingere che tutto questo non richiami il confronto tra i due show.

Ecco, questo confronto mi ha portato a mettere in discussione un discorso che facevo partendo dalla scorsa puntata. Dicevo che c’è un po’ troppa esposizione, in House of the Dragon, e che la serie finisce per risultare di buona fattura ma meno appassionante rispetto a Game of Thrones. Questa opinione l’ho decisamente cambiata arrivati al terzo episodio, che mi ha fatto innamorare dello spin-off in maniera definitiva. Rings of Power ha contribuito a darmi una prospettiva più distaccata sull’argomento.

Rimane vero che House of the Dragon ora, così come Game of Thrones prima, ha spesso delle trame politiche difficili da seguire se non si conosce un po’ il materiale originale. Però House of the Dragon fa un grosso sforzo per farsi amare anche dal neofita. Ciò passa proprio attraverso la bellezza cinematica di cui tanto vi parlo e lo sforzo di rendere chiaro il dramma tra i personaggi. I pilastri della serie sono due: uno è visivo, l’altro è psicologico. La loro unione rende lo show fruibilissimo anche da chi non conosca già le questioni dei Targaryen.

Dicevo che mi nasce da Rings of Power questo ragionamento perché invece la serie ambientata nell’universo di Tolkien è un po’ meno accessibile. Regala grandi soddisfazioni a chi conosce i testi, almeno stando a quello che sento dire da chi è fan. Però su un certo piano rimane impenetrabile per chi non sia già sentimentalmente coinvolto in quel mondo.

E lì il problema è sia la scrittura, sia una messa in scena molto scolastica, per quanto variopinta e ben finanziata. Qualcuno ha parlato di una serie fatta di bei wallpaper, sfondi per computer, e poco altro. Tutto sa di green screen, tutto è smarmellato. La regia è piatta e poco creativa, tranne in qualche bel momento che mi ha colpito, come la scena finale sulla barca nel primo episodio. Il ritmo è letale: per me è impossibile guardare Rings of Power di sera, perché mi stende come un colpo in testa. Ma continuerò a provarci, e proverò a trovare il bello che oggi magari ancora non riesco a vedere.

Se devo proprio esprimere un’opinione sul confronto tra le due serie fantasy, direi per prima cosa che non c’entrano nulla l’una con l’altra. Lo stile con cui sono realizzate è diametralmente opposto. Il mondo narrativo di riferimento è diverso, anche se entrambe sono fantasy e sono epiche. Non hanno molto in comune.

House of the Dragon, come Game of Thrones, riduce al minimo l’elemento magico, raccontando un basso medioevo immaginario che viene contrabbandato come realistico.

L’universo del Signore degli Anelli che vediamo in Rings of Power non è così: è tutto molto più fantastico. La serie ha un target più vasto e più spostato verso l’infanzia, infatti vengono meno tutti quegli elementi caratteristici di Game of Thrones come il gore, il sesso, la violenza. Le scelte stilistiche sono diversissime e per ora non hanno nessun punto di intersezione.

Insomma, a parte le radici fantasy, quello che voglio dire è che non ci sarebbe proprio nulla da confrontare, tra queste due serie. Però ecco… se proprio volete la mia opinione, avete già capito quale sia: House of the Dragon per me è centomila volte più bella di Rings of Power. Che cosa vi devo dire…

Con il cuore sempre più rigonfio di speranze, aspetto il quarto episodio per tornarci sopra la prossima settimana.

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Sara Mazzoni
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Written by Sara Mazzoni

Podcast: Attraverso Lo Schermo. Scrivo di cinema e televisione.

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