True Detective, l’inizio della stagione 3
Riflessioni a caldo sui primi due episodi
Su True Detective 3 — che ormai non interessa più a nessuno (?) — vorrei mantenere il discorso obiettivo: senza esaltazioni esagerate, ma anche senza volerla a tutti i costi affossare perché troppo vecchia o troppo generalista. Ho visto i due primi episodi e si tratta sempre e comunque di un giallo-thriller discreto. Mi ha dato l’idea che sia ancora un po’ presto per capire dove andrà effettivamente a parare, ma per ora posso fare alcune considerazioni.
Come sbandierato per tutto il 2018 allo scopo di riattirare un pubbico deluso dalla seconda stagione, i nuovi episodi ricalcano elementi della prima, in modo quasi metatelevisivo. Il remix autoconsapevole genera una struttura composta da 3 diverse timeline: il fattaccio nel 1980, la riapertura del caso nel 1990 e il documentario True Criminal sulla storia, girato nel 2015 (con Mahershala Ali invecchiato prosteticamente in modo abbastanza credibile). In mezzo c’è anche un romanzo di non-fiction, scritto sui fatti narrati da una donna ormai morta. Una volta si sarebbe usata la parola “postmoderno”, oggi boh, è tutto postpostpostmoderno.
La parte del 2015 non è però un racconto cornice davvero equivalente a quello di True Detective 1: la serie ci chiarisce che il suo narratore è inaffidabile perché ha problemi di memoria. Ci sono sfondamenti tra le timeline passate e il 2015 che ci ricordano continuamente che ciò che vediamo è filtrato dal punto di vista di un personaggio dalla mente confusa. Il concept e alcuni di questi momenti somigliano moltissimo a The Queen, un bell’episodio di Castle Rock, interamente raccontato attraverso la prospettiva di una donna affetta da demenza, che sperimenta il tempo in modo non lineare.
Sono presenti molti luoghi comuni del giallo-thriller, elementi che ricorrono non solo in film/serie, ma soprattutto nella prolifica letteratura di genere — di cui non sono un’esperta, ma che frequento con costanza. Mi sono fatta l’idea che in questo sottogenere l’investigazione passi sempre attraverso il personale, la percezione che il personaggio ha della realtà, percezione spesso alterata rispetto a ciò che siamo abituati considerare “norma”.
I luoghi comuni sono anche altri, più ovvi (chi sono le vittime; chi i sospettati; come si comportano i poliziotti). Da un verso mi infastidisce, dall’altro noto sia lo sforzo di rimanere dentro a un’idea di “classico”, sia l’intenzione di usare in modo appunto postmoderno, meta etc. queste figurine. L’operazione può anche fallire, risultare banale, ma vorrei aspettare un po’ a dire che è così.
L’altra parte di prima stagione che sembra aleggiare sulla terza è ovviamente quella esoterica e oscura, cospirazionista e antiumana. Penso che fosse l’elemento davvero interessante della prima, per cui mi pare logico cercare di riprenderlo. Non penso sia facile farlo senza risultare grevi, senza farla apparire come un’imitazione poco ispirata. Credo che l’accrocchio postmoderno e meta serva anche a reggere questo confronto cercando una via meno semplice, ma originale. Come sopra: è un meccanismo che si può rompere facilmente, ma si vedrà.
Parlando di originalità, un’altra cosa che ho capito leggendo gialli-thriller è che ormai è quasi impossibile essere originali (ci riesce Gillian Flynn con Gone Girl), ma si possono comunque scrivere buone storie basate, come True Detective, sul remix di elementi ben noti al pubblico/lettori. È un genere che più di altri gioca consapevolmente con le proprie regole. Fin qui, dubito che True Detective 3 sarà rivoluzionario, ma mi sembra abbia comunque la possibilità di uscirne come un’operazione dignitosa. Se volete la tv nuova, sperimentale etc, temo che dovrete rivolgervi a una a caso delle mille novità che usciranno quest’anno.
Jeremy Saulnier è un regista che adoro. Su Netflix trovate il suo film d’esordio (poverissimo) Murder Party e il suo più recente, Hold the Dark. Senza nulla togliere a Blue Ruin e Green Room, che vi consiglio, vedendo gli episodi ho sentito un collegamento con le atmosfere di l’ultimo, Hold the Dark. La mano di Saulnier in True Detective l’ho trovata discreta, poco narcisista, ma la sua impronta c’era. Purtroppo però la sua partecipazione finisce con queste prime puntate.
Valutazione personale: il primo episodio mi è piaciuto; il secondo l’ho trovato un po’ noioso, tolto il finale. Mahershala Ali bravo. Certi cliché sono troppo triti anche per il remix e non so se il fatto che ci sia Stephen Dorff sia una cosa buona. L’apparato da thriller psicologico invece mi ha comunque incuriosita.