Serie TV — Settembre 2019
Unbelievable, American Horror Story 1984 e tutto il resto
Come sempre, su alcune serie mi soffermo di più e su altre meno. Alcuni passaggi sono disimpegnati e poco argomentati. Se volete la mia scrittura più seria, la trovate su Cinema Errante e PointBlank. Per favore, apprezzate quello che viene regalato qui senza fare troppe storie. GRAZIE A VOI!
Novità
Unbelievable, miniserie. Solidissima serie crime Su Netflix. Non solo ve la consiglio perché funziona benissimo nel suo genere, ma anche perché ha diversi meriti che lo trascendono. Prima però vi segnalo un trigger warning grande come una casa in tema di violenza sessuale. Il principale merito dello show è mostrare come funziona la cultura dello stupro a livello sistemico, andando cioè al di là della maleficità del mostro (che è comunque un elemento della storia). Per farlo analizza i risvolti più insidiosi di un certo modo di pensare, chiarendo come le forze dell’ordine ne siano pervase e come ciò ricada sulla vita delle donne.
Il primo episodio è interamente incentrato sulla denuncia di uno stupro da parte di una ragazza che non viene ritenuta attendibile da chi dovrebbe aiutarla. Guardarlo è una tortura psicologica, pari a quella della prima puntata di When They See Us di Ava DuVernay, un’altra miniserie improntata a rendere giustizia alle vittime di un sistema fallato. Anche nel caso di Unbelievable la vicenda è tratta da una storia vera, fatto che vi farà incazzare fuori di misura quando vedrete che cosa è successo.
Creata da Susannah Grant, Ayelet Waldman e Michael Chabon, scritta benissimo e diretta in modo austero, Unbelievable si avvale di un cast di attrici strepitose. Nonostante la presenza della divina Toni Collette, a rubare la scena c’è Merritt Wever — a cui non avrei dato due lire, e invece ha spaccato tutto. I personaggi principali non sono però solo le due detective da loro interpretate. La peculiarità di Unbelievable è infatti quella di raccontare anche le vittime, descrivendole come personaggi attivi e credibili, donne vive e vivaci; non mera funzione narrativa, insomma. Il fatto che questo sia un elemento rivoluzionario la dice lunga sulla pervasività della cultura dello stupro e su come si basi su pregiudizi apparentemente innocenti, di cui non ci rendiamo nemmeno conto.
Unbelievable dovrebbe essere una visione obbligatoria in tutte le scuole di scrittura e in tutte le writers’ room del mondo. Prima di approcciare il genere crime, prima di scrivere qualcosa che utilizza lo stupro solo come l’innesco di una trama o, peggio ancora, delle motivazioni di un personaggio che non è la vittima, si dovrebbe studiare questo show. Vi prego, fatelo, guardatelo, soprattutto se NON siete già sensibili a questo tema e se NON gli avete già dedicato riflessioni: osservate in cosa Unbelievable è diversa da altre opere. Su Netflix.
Undone, stagione 1. Stagione da 8 episodi brevi su Prime Video. È un dramedy di fantascienza lisergica creato da Raphael Bob-Waksberg e Kate Purdy, rispettivamente creatore e sceneggiatrice di BoJack Horseman. Anche Undone è una serie di animazione, ma riprende la tecnica del Rotoscope con intenzioni simili a quelle di Waking Life di Richard Linklater. In questo senso, non scandalizzatevi: Undone è in parte un’opera derivativa, che raccoglie senza timidezza spunti già visti altrove (la costante di Lost; le visioni di La zona morta; il viaggio nel tempo di The Queen in Castle Rock) — lo so, sono omaggi — e, come la fonte principale Waking Life, si ispira a quel filone fantascientifico che oltrepassa le porte della percezione.
È lisergica per davvero, proprio nel senso narrativo: esplora il tempo non lineare (concetto molto amato dalla narrativa anche al di fuori della fantascienza) rendendo l’integrazione di questo meccanismo con la trama il punto principale dello show. Tutto è puntellato però da personaggi credibili, dialoghi vividi e una vicenda familiare che è un po’ banale, ma riesce almeno a fare da contrappeso all’apparato fantastico, con una rappresentazione realistica dei rapporti tra parenti. Grattando l’apparenza, la formula non è troppo lontana da quella di Russian Doll, anche se l’esplorazione del tempo non lineare è diversissima, così come lo stile e l’estetica. Cast ottimo sfruttato benissimo dal Rotoscope, e si guarda tutta in 3 ore. Su Prime Video.
The I-Land, miniserie. Ne ho viste due puntate, posso confermare anche fermandomi qui che è una schifezza clamorosa, ma non abbastanza brutta da fare il giro. Inizialmente ero benevolente, pensavo che potesse essere un guilty pleasure di trash simpatico, ma no. Sul serio, lasciate stare. La recensione su Hollywood Reporter dice tutto il necessario. Non perdete tempo con roba del genere, non menzionate Lost, allontanatevi rapidamente e basta. Su Netflix.
Carnival Row, stagione 1. Stranissima operazione. A scanso di equivoci: mi è piaciuta, l’ho bingiata senza pietà in una notte insonne trovandola un gran buon intrattenimento e in tal senso ve la consiglio. È una serie che usa elementi controversi, perché è un fantasy steampunk dove si parla di migrazioni e discriminazioni razziali usando le creature fantastiche (fate e altre chimere) come categorie meno privilegiate. Praticamente è un Gangs of New York sovrannaturale, però tutto centrato sul tema della segregazione. I protagonisti sono ovviamente bianchi (LOL), c’è un uso disgraziato della damsel in distress sul personaggio di Cara Delevigne (la romance con Orlando Bloom ha risvolti incredibilmente paternalistici). C’è un giallo la cui soluzione diventa palese man mano che la trama si rivela al pubblico. Però però però, nonostante la malagrazia con cui affronta certe cose, ho trovato bellissimo l’amore per il dettaglio con cui è costruita (per dirne uno eclatante: in questo universo alternativo, c’è una religione simile al cristianesimo che ha per simbolo non la croce, ma un suo martire impiccato, con tanto di riproduzioni gigantesche dentro agli istituti religiosi) e molto divertente la versione fantasy di una schermaglia amorosa nell’alta società, che pare uscita da un romanzo di Edith Wharton o Jane Austen e ha per co-protagonista un fauno. Su The Verge un approfondimento interessante. Nel complesso, è una serie piacevole e sottovalutata. Su Prime Video.
BH90210, stagione 1, primi 3 episodi. Il reboot della serie storica che conosciamo come Beverly Hills 90210. Reboot barra sequel barra mindfuck, BH90210 è un mix post-moderno della storia dei personaggi dello show originale e di quella degli attori: insomma, una cosa malatissima. Stando al pilot, l’alchimia funziona, la serie è divertente e sfrutta bene le sue pesanti premesse da Grande Freddo rilanciando un teen drama epocale con le storie di un gruppo di cinquantenni mezzi falliti. Il pilot è una specie di buddy comedy a Las Vegas, ma la mescolanza tra i piani di realtà rende la faccenda più originale del solito stravisto. Proseguendo dopo il bel pilot, la faccenda si appiattisce, ma rimane un’operazione simpatica. Su Fox.
Evil, pilot. Della stagione in sé parlerò quando sarà uscita. Per ora non mi sbilancio, tutto è possibile. Del pilot, simpatico l’incubo George. Vediamo un po’ dove si va con la dinamica Mulder-Scully e il mega complottone di Satana e 4Chan (quest’ultimo vera e propria ossessione dei King). Su CBS.
Ritorni
American Horror Story — 1984, stagione 9, primi 2 episodi. Partenza simpatica con l’atteso omaggio allo slasher da campeggio. Nel cast quest’anno per me spicca Billie Lourd. Sembra nell’aria che nel giro di poco (secondo alcuni nella 9x06) ci sarà una svolta clamorosa, che giustificherà il titolo “1984”, magari qualcosa che punti verso The Cabin in the Woods o di ancora più pazzo. Qui qualche teoria sul fatto che quanto visto finora sia soltanto un film interpretato da Madison Montgomery, e che la cosa possa trasformarsi in una specie di Hunger Game. Su FX.
Pose, stagione 2 fino alla 2x06. Stagione più appassionante della prima, piena di impulsi rivoluzionari, momenti di commozione, ma anche di divertimento. Generalmente però è da guardare coi fazzolettini pronti: è una delle serie più piangerone di tutti i tempi, nonché uno sfolgorante tributo a una comunità che negli anni ’80 è stata quasi completamente cancellata dall’AIDS, mentre il resto del mondo le sputava sulla tomba. Come period drama, Pose è un altro esempio (oltre a GLOW) di come si può parlare di un certo passato —qui il 1990 — senza la nostalgia acritica di Stranger Things. Su FX.
The Affair, stagione 5 fino all’episodio 5x05. Belle le primissime puntate, in cui si procede alla demolizione di Noah sotto ogni possibile punto di vista, con Helen superstar, eroina assoluta dello show ora che il cast è stato praticamente dimezzato. La stagione ogni tanto suona come una fanfiction, ma nei momenti buoni non è nemmeno un difetto, perché di Noah che subisce non ci si stanca mai . Qui e là però succedono davvero troppe cazzate. Dalla sottotrama di Joanie mi aspettavo decisamente di più, e fatto meglio: ridicola l’insistenza sugli elementi futuribili, atroce la descrizione dei suoi kink erotici. Irrilevante la componente cli-fi, che era invece l’unica vera intuizione brillante di questa parte dello show. Sono rimasta perplessa anche davanti alla storia di Whitney nel 5x04: l’impressione è che anche questa volta Sarah Treem e il suo staff dimostrino di non saper rendere giustizia alla vita sessuale delle donne più giovani. Su Showtime.
The Terror, stagione 2, primi 2 episodi. Partenza soporifera. Encomiabile l’idea di raccontare quel terribile pezzo di storia americana, angosciante la persecuzione razziale descritta. Purtroppo gli aspetti horror dei primi episodi sono fragili e il ritmo esageratamente lento per ora non mi ha fatto venire voglia di continuare. Su Prime Video.
Succession, stagione 2 fino alla 2x08. Capisco perché questa serie possa creare irritazione: parlare di una famiglia di capitalisti superpotenti e ricchissimi non è che susciti grande empatia. Cioè, anche i ricchi piangono, ma a noi che ce ne frega, giustamente. Però il punto di Succession all’80% è raccontare queste persone come moralmente corrotte, in una satira spesso molto acida e divertente: è un dramma familiare scritto con dei dialoghi stile VEEP. Ha anche risvolti shakesperiani (di cui si parla bene su Polygon) e per me rimane una serie appassionante nonostante la premessa, anche grazie a Kieran Culkin e al suo personaggio, che quest’anno si distingue anche in virtù della sua relazione con la magnifica Gerri (J. Smith-Cameron, nella foto). Su HBO.
Marianne, stagione 1, prime 2 puntate. Horror francese che parte benino, con qualche bel momento di paura nella 1x01, nonostante il fastidioso montaggio giovanilista. Non va tanto per il sottile, come si capisce dal primo minuto, ma non è un problema. La seconda puntata purtroppo l’ho trovata già molto più dispersiva; forse questo materiale sarebbe stato più indicato per un film, mentre le necessità narrative di una costruzione seriale mi sono risultate immediatamente una palla micidiale. Non so se andrò avanti. Su Netflix.
Dear White People, stagione 3. L’avevo scordata nel recap precedente. Non ho molto da dire: si tratta di una serie partita benissimo nel 2017, diventata nel giro di due anni la parodia di se stessa. Bleah, cattivo Netflix.
Di The Good Place 4, How to Get Away with Murder 6 e This Is Us 4 parlerò nel prossimo recap perché sono appena cominciate. Anche The Politician più avanti, ho già visto che il pilot dura un’ora e ci vuole della calma.
Recuperi
Atlanta, stagione 2. Ne avevo visto solo i primi episodi, ho recuperato il resto. In generale ha trovato la sua formula geniale nel mescolare il dramedy d’essai, quello che sembra uscito dal Sundance, con elementi narrativi presi dal weird. In un bell’articolo del New York Times si parla di dream logic, definizione che calza per quasi ogni episodio della stagione. L’umorismo è surreale, le atmosfere sospese, pervase da un’inquietudine sempre al lavoro, che fa sospettare di un possibile pericolo in agguato dietro a ogni situazione. La natura di quell’angoscia tende all’horror, specialmente in episodi come il gotico Teddy Perkins (2x04) e al metafisico Woods (2x08). Più si va avanti nella stagione, più si fa forte il sentore che qualcosa di terribile stia per accadere, che la morte sia col fiato sul collo di Paper Boi e degli altri. Oltre ad apprezzare questo lato, ho trovato particolarmente interessanti le parti in cui il protagonista non è Earn (Donald Glover). In questa stagione si fa da parte, lasciando spazio ad altri personaggi più interessanti. Per me funzionano soprattutto le parti in cui Vanessa assume un ruolo da protagonista, sia grazie all’interpretazione di Zazie Beetz, sia per una scrittura che mi pare più sfumata quando si tratta di questo personaggio; ma lo stesso si può dire di Paper Boi (Brian Tyree Henry) nella seconda metà della stagione.
Ottimi caratteristi in azione, bella regia (soprattutto Hiro Murai, come al solito), estetica ineccepibile, insomma, tutto sempre fighissimo. Se devo trovare un paio di difetti, ho notato che non tutti gli episodi erano fondamentali e qualche battuta di dialogo è meno sagace di quello che si crede. Qua e là c’è qualche ripetizione e in particolare i personaggi tendono ad assomigliarsi tra loro, indipendentemente dalle caratteristiche individuali (Vanessa e Paper Boi a tratti ricordano molto il tono con cui Glover interpreta Earn). Forse è una scelta precisa: in fondo Atlanta parla di personaggi in balia di un mondo ordinario che quando svela il suo vero volto, lo mostra ghignante e feroce, assetato del loro sangue, mettendoli in una posizione di perenne svantaggio. Su FX.
Black Summer, pilot. L’avevo rimandata pur sapendo che aveva recensioni positive e un bell’inizio che avevo già visto di sfuggita. Ieri sera l’ho ripresa, guardando per intero il pilot, di cui si può dire che è molto buono. I contenuti in sé non sono particolarmente originali, ma è interessante l’uso che ne viene fatto grazie all’estetica e alla struttura narrativa. Cioè: le solite cose da apocalisse zombie te le vivi in un altro modo se te le raccontano con un piglio diverso dal solito. Il racconto è corale, organizzato in un incastro di tasselli che cambiano punto di vista in base al personaggio seguito. La puntata è fatta da una serie di piani sequenza che rimandano a I figli degli uomini, con la concitazione necessaria a portarci nell’urgenza del momento. È un racconto di avventura e un racconto di guerra, di profughi, di caduta dell’ordine sociale. Con gli zombi centometristi direttamente da 28 giorni dopo. Color correction azzurrina, che non dispiace; attenzione alle inquadrature che rendono lo show meno piatto rispetto ad altri analoghi. Sono iniziative per me sempre benvenute, specie in un panorama televisivo sempre più vasto e pieno di serie fatte in fretta e furia. Questa ha anche il pregio di episodi insolitamente brevi per un drama streaming (40 minuti). Su Netflix.
Riverdale, stagione 3, fino a metà. Fa il verso a True Detective, ma ha il coraggio di spingere sul versante horror, con una gustosa mitologia dei giochi di ruolo maledetti e toni più prossimi a quelli del meraviglioso Chilling Adventures of Sabrina. Dopo i primi episodi però si perde nel solito annacquare le trame a dismisura per farle durare duemila episodi, e come con le stagioni precedenti ho perso completamente interesse. Su The CW.
SMILF, stagione 2, primi 3 episodi. Sto provando a recuperarla ma faccio molta fatica a seguire questa seconda stagione. Rispetto alla precedente, ho trovato le prime puntate eccessivamente di maniera, aderenti ai canoni di un certo dramedy indie in modo troppo artificiale, tutto sommato vuoto. Mi hanno profondamente annoiata. Su Showtime.
Ho iniziato Lore, che avevo in lista da una vita, e la puntata che ho visto era veramente pesa (nel senso buono). Se ne riparla alla prossima. Su Prime Video.
Rewatch
Desperate Housewives, stagione 3. La stagione 3, con l’introduzione di Orson Hodge (Kyle MacLachlan), mostra subito un tono più vivace, dai dialoghi rianimati e un mistero di stagione più intricato del precedente (che aveva connotazioni razziste). Continua a essere una serie reazionaria e misogina, specie nel trattare argomenti come la prevaricazione sessuale e nel delineare sia i rapporti tra donne, sia quelli delle donne con gli uomini. Propaganda di destra, confezionata come sempre molto bene. Rispetto alle prime 2 stagioni, questo aspetto se possibile si è persino acuito. Su Prime Video.