Serie TV — Febbraio 2019
Recap delle mie visioni seriali: novità, ritorni e recuperi
Panoramica televisiva di questo mio febbraio. C’è tanta roba e ho cercato di essere breve, per cui non ho sempre potuto argomentare con dovizia di dettagli. Se volete leggermi in veste più seriosa, potete seguirmi su Cinema Errante.
Novità
The Umbrella Academy, stagione 1. Novità interessante, adattata da un fumetto che non ho letto. Ha i suoi pregi e i suoi difetti, ma si è fatta guardare volentieri dall’inizio alla fine. Ci sono incongruenze che potrebbe irritare i nerd del viaggio nel tempo (tipo me), ma anche uno sguardo disilluso sulla cricca di supereroi protagonisti, un buon ritmo e situazioni coinvolgenti. È un dramma familiare, con un crocicchio disfunzionale di fratelli e sorelle che sembrano soprattutto amici di vecchia data. Nonostante il claim che la vuole come un “Wes Anderson che gira un cinecomic”, ha altre influenze. L’ho trovata più simile del previsto alla versione Netflix di Dirk Gently (la gestione delle sottotrame, gli inseguitori, la mission che dal pilot si collega a un viaggio nel tempo, richiedendo ai vari pezzi di combaciare nel loop) e, tolta la patina stilosa, a Heroes. Ci sono una serie di citazioni/omaggi cinematografici di cui non si sentiva la mancanza e un po’ troppe soluzioni ormai straviste. Per questo, è totalmente prevedibile, tant’è che avevo indovinato il finale dalla prima puntata. SPOILER ALERT: infatti, altre due influenze sono Misfits (riferimento esplicitato dall’inserimento di Robert Sheehan nel cast) e la stagione 6 di Buffy The Vampire Slayer (che ha praticamente la stessa conclusione, con tanto di svolta dark nell’aspetto del personaggio). Una volta intuite queste due cose — e si capiscono subito — la storia è già scritta. Ciononostante, la stagione è riuscita a tenermi lì per 10 ore senza che mi venisse mai voglia di interromperla, anzi, guardandone anche due episodi per volta (però magari non bingiatela, visto che è impegnativa e poi vi rompete le palle).
Russian Doll, stagione 1 Netflix, questa invece la potete davvero bingiare in una serata. Bellissima, prima novità a gasarmi nel 2019. Misto di commedia e fantastico, di cui ho diffusamente parlato in questa recensione.
Lorena, miniserie. Documentario in 4 parti sulla vicenda di Lorena Bobbit, prodotto da Jordan Peele per Amazon. Ne ho vista metà, la trovo valida e appassionante. Il suo tema è ovviamente la misoginia della società in cui avviene il fatto narrato e l’atteggiamento discriminatorio verso le vittime di violenza domestica. Ha un ottimo approccio al documentario, che tiene incollati allo schermo.
Dirty John, miniserie. In una parola: BELLA. Domestic thriller su Netflix (in origine Bravo). Iniziata con aspettative sotto zero, mi è piaciuta un casino. È permeata da una vena trash sorniona e piena di humor, che si è rivelata un valore aggiunto — quel flashback personale ai film tv visti al pomeriggio dopo la scuola, ma con in mente la serialità di oggi. Dotata di un cast interessante, adattata da un podcast true crime, funziona benissimo. La suspense del thriller domestico non molla quasi mai, si trascina scena per scena meglio di True Detective. Non cede alle morali troppo facili del “se l’è andata a cercare”, pur evidenziando gli errori della protagonista. C’è un bel ritratto di una famiglia disfunzionale di sole donne, con le figlie che sembrano una fusione di Cenerentola con Anastasia e Genoveffa — Juno Temple e Julia Garner. Contiene una scena di combattimento che mi resterà per sempre nel cuore. La scena finale, invece, è un manifesto sull’ammissione dei propri errori. Serie imprescindibile per chi ama questo genere come me.
Nightflyers, stagione 1. Fantascienza di SyFy ora su Netflix, adattata da una novella del 1980 di George R.R. Martin. Ho resistito fino a metà, ma è veramente tremenda. La novella non è niente di strepitoso, ma la serie è riuscita a fare molto peggio, proprio con il materiale originale creato ex novo per adattarsi al formato seriale. Caos totale nella gestione di trame, sottotrame e personaggi; stereotipi misogini a valanghe; attori da bastonare fortissimo (Eoin Macken, Sam Strike, Gretchen Mol); generalmente noiosa.
Folklore, stagione 1. Antologica horror di HBO Asia. Vista per ora solo la prima puntata, l’indonesiana A Mother’s Love di Joko Anwar. L’ho trovata già vista, non particolarmente originale e soprattutto poco adatta al formato da 50 minuti, come un corto gonfiato oltre il suo limite.
Pure, pilot. Serie britannica di Channel 4, l’ho cercata soprattutto perché l’autrice della colonna sonora è Julia Holter, musicista eccezionale (ascoltate il suo album Aviary, uno dei più belli del 2018). Scritta dall’autrice tv Kirstie Swain, la sinossi la definisce un comedy drama su una ragazza con una sindrome ossessivo compulsiva non diagnosticata. In verità, è soprattutto uno show sul sesso e sulle disavventure erotiche della protagonista, legate al suo disturbo mentale. Detta così, sembra una cosa inquietante. C’è una vena di disgusto voluta, che restituisce l’esperienza di lei con l’OCD; ma, stando al pilot, è soprattutto un racconto di formazione tra schermaglie romantiche, girato con uno stile fresco.
Strega per sempre (Siempre Bruja). Sulla carta aveva potenziale da outsider: una serie colombiana non sul cartello della droga, ma su una strega afrolatina che viaggia nel tempo per scampare a un rogo. Visto mezzo pilot, però, m’è bastata così. Per approfondimenti vi rimando alla recensione che ho letto su Shadow&Act.
I Am the Night. Visto il pilot, non mi ha fatto venire voglia di continuare. Interessante la materia prima: una storia non fiction di questioni razziali e intrighi legati al Black Dhalia murder, poteva dare vita a una meravigliosa stagione di American Crime Story. Ma non mi è piaciuto l’adattamento che la rende urlata, melodrammatica in modo semplicistico e stereotipato. Manca il mestiere di Ryan Murphy e dei suoi collaboratori, questa è una pallida imitazione.
Pen15, episodi 1x01 e 1x02. Teen comedy di Hulu. Il pilot rientra nel girone del “carino” che non mi fa perdere la testa. Lo show viene accomunato ad altri che esplorano la pubertà, come Sex Education e Big Mouth. La sua particolarità è che le protagoniste adolescenti sono interpretate dalle due autrici/attrici 31enni, Maya Erskine e Anna Konkle, mentre il resto del cast ha l’età giusta. È una scelta precisa che provoca un senso di imbarazzo e disagio, rendendo evidente un distacco che non romanticizza la nostalgia d’epoca (la serie è ambientata nel 2000), ma nemmeno quella generica dell’adulto che mormora “ah, i bei tempi” (è vero però che il genere teen americano sottolinea di continuo come la scuola superiore sia il luogo del male cosmico). Non mi è chiarissimo il senso ultimo dell’operazione, penso si riveli andando avanti, ma a me non è venuta voglia di continuare. Di certo, rappresenta un’epoca televisiva in cui la produzione è diventata così vasta da lasciare spazio anche ai progetti più strani.
Weird City, episodi 1x01e 1x02. Serie comedy fantascientifica di YouTube Premium, prodotta da Jordan Peele. Le prime due puntate mi hanno delusa. L’aspirazione è quella di vari show: fare un Twilight Zone del presente, aggiornato alla popolarità di Black Mirror — inutile osservare che adesso esce proprio il vero reboot Twilight Zone, con lo stesso Peele a fare da presentatore. Come altri tentativi simili (Electric Dreams di Amazon, Dimension 404 di Hulu), anche questo si risolve in un meh. Il lato comedy è quello più sviluppato e il pilot parla di app di dating, tema ormai inevitabile, usato infatti anche dal pilot di Dimension 404, che aveva le medesime caratteristiche e non mi aveva entusiasmata, ma tutto sommato era più originale. Il primo episodio è innocuo, il secondo è disturbante per la faccia di Michael Cera. Costumi e ambientazioni sono il lato migliore, quello più curato e divertente, con una moda futurista che esaspera le peggiori tendenze di quella contemporanea. La comicità è stupidissima; a volte in senso buono, ma non sempre. Le svolte della trama sono tutte fin troppo prevedibili. Fin qui sembra un esperimento fine a se stesso, giusto perché anche YouTube abbia il suo titolo, visto che tutte le altre piattaforme ne hanno uno. Probabilmente è ottima da guardare sull’autobus mentre qualcuno vi schiaccia la testa con un gomito e non potete seguire una cosa più complicata.
Into the Dark, 1x04, New Year, New You di Sophia Takal. Serie antologica horror prodotta da Blumhouse, ogni puntata è un film tv di un’ora e mezza ambientato durante la festività del mese in cui esce. Riponevo grandi speranze in questo episodio di capodanno, pur essendo stata delusa dai precedenti, compreso quello di Nacho Vigalondo — regista che apprezzo molto. Questa è la seconda prova di Takal, autrice di Always Shine, un bel thriller psicologico. Ma, come gli altri episodi, sembra l’ennesima sceneggiatura uscita dal cassetto in cui sarebbe dovuta restare, girata malamente, senza soldi e soprattutto senza entusiasmi. Le premesse sono buone, ma tutto si sfilaccia dalla metà in poi. Se queste puntate fossero state dei mediometraggi come i Masters of Horror, avrebbero potuto recuperare efficacia; ma, al di là del formato, credo che avrebbero semplicemente avuto bisogno di più lavoro, a partire dalla scrittura. Purtroppo, il tempo è denaro e si vede.
Ritorni
Suburra, stagione 2. Delusione. La stagione è tutta intreccio, la scrittura è meccanica, sforna un evento dietro l’altro senz’anima, perdendo completamente di vista i personaggi, che erano invece la vera forza della serie. Aurelià annientato, non ha praticamente nulla da fare; di Spadino, protagonista della stagione, abbiamo perso l’introspezione. I migranti e l’amante di Spadino vengono trattati come oggetti di scena, più che personaggi. Punti di arrivo delle sottotrame scontatissimi, visione politica inquietante (il neofascista non viene mai chiamato fascista, le ONG cattive trafficano, destra sinistra tutti uguali e via dicendo). Si salvano però i bomber di Spadino, tutti meravigliosi.
How to Get Away with Murder, stagione 5, fino a 5x13. Sono davvero affezionata ai personaggi. La trama è gestita come sempre bene, in ripresa rispetto a una stagione 4 con la quale avevo fatto un po’ fatica. Svolte, imprevisti, thriller sentimentale, cinismo e disperazione: tutto immutabile, ma nel senso buono. Annalise sempre più unapologetic, come la vogliamo noi.
Continuate dal recap precedente
Black Monday, stagione 1, fino all’episodio 1x05. Per me questa è una gran bella novità comedy del 2019 seriale. La cosa che mi piace di più è la densità della comicità: raramente trovo serie in cui il ritmo delle battute efficaci sia altrettanto serrato; di solito non mi fanno ridere tutte, mentre qui è una pioggia battente. L’ironia con cui affronta il revival anni ’80 la rende più sagace rispetto ad altre serie che hanno tentato operazioni simili. Spero che prima o poi arrivi anche nel nostro paese, così magari la rivedo coi sub in italiano.
Black Earth Rising, stagione 1. Miniserie interessante, il ritmo si dilata andando avanti, dopo essere stato serrato con la sottotrama dei primi 3 episodi. Una volta risolta quella, il racconto è meno urgente. Il mistero sulla protagonista viene trascinato ovviamente fino alla fine, ma la rivelazione non è esattamente imprevedibile. È uno di quei drammi politici che usano i personaggi e le loro relazioni come evidenti metafore, in modo spesso didascalico. Accettato questo, è comunque interessante per la gestione del thriller cospirativo e il lavoro di denuncia sulla storia di genocidi recenti in cui l’Europa ha delle responsabilità. Attrici bravissime, più un buon John Goodman.
Sex Education, stagione 1. Nel complesso, mi è piaciuta. Non ho trovato fortissima la scrittura: siamo in un mondo che si sforza di apparire realistico, poi però ci viene richiesto di accettare snodi di trama adatti a un’ambientazione grottesca (il protagonista che diventa punto di riferimento terapeutico per la sua comunità adolescente; la madre, che terapeuta lo è davvero, si comporta con lui come una psicopatica senza mai mettere in discussione le proprie azioni). Lo show è troppo indeciso tra l’essere surreale e acido come il film Jawbreakers, o la serie Popular, e un teen drama naturalistico alla Skam. Detto questo, ci sono vari meriti che vanno riconosciuti alla serie: passati i primi episodi, ho trovato una scrittura verticale più solida; i costumi sono incredibili, la direzione artistica è sopra la media, con un bello studio su fotografia, palette di colori, scenografie, trucco etc. Lodevole l’intento educativo, ma m’è parso trattato a volte in modo superficiale — e pur avendo costruito una bella narrazione sull’aborto, il piantino d’ordinanza non se lo sono fatte mancare (si vede che è obbligatorio).
True Detective, stagione 3. Ne ho parlato diffusamente in vari post, se volete la mia opinione vi rimando a quello che ho scritto dopo il finale di stagione.
Star Trek Discovery, stagione 2, fino all’episodio 2x06. Non mi sta facendo sedere sul bordo della sedia. La volentieri, ma ho trovato i primi episodi un po’ noiosi, la trama orizzontale annacquata, senza che le linee verticali siano particolarmente forti. Si riprende arrivando alla metà stagione, come naturale, con un bell’arco per Saru, che rimane il personaggio più interessante, interpretato da Doug Jones. Vorrei che fosse lui il vero protagonista della serie.
RuPaul’s Drag Race All Stars, stagione 4. Come già detto, il cast di questa edizione era particolarmente efficace e i colpi di scena sono stati serrati, anche più del solito. Ci sono stati problemi con la sua pubblicazione su Netflix, che hanno rovinato la visione rendendola a singhiozzo.
You’re the Worst, stagione 5, fino a 5x07. Interessante la preparazione di questo matrimonio improbabile, arco che dovrebbe descrivere l’abbandono di una coolness a tutti i costi che fotte la vita di queste due ciniche bestiole. Trovo onesto il modo in cui vengono ancora descritti dopo 5 stagioni. Mi piace come si scherzi sul concetto di gelosia, sullo spaesamento dei due personaggi che devono abbandonare uno stile di vita ormai vecchio, con Gretchen che scopre di amare il proprio lavoro. Divertente la sottotrama con l’emo trapper di Soundcloud, la cui conclusione probabile dovrebbe essere una sola, data la premessa. La sto trovando sopra la media per le risate che strappa.
Recuperi
Channel Zero — Butcher’s Block, 2018. Terza stagione dello show horror antologico di Nick Antosca, recentemente cancellato da SyFy dopo la quarta stagione. Questa è stata sviluppata dalla giovane autrice Arkasha Stevenson, che mostra talento e inventiva partendo da una bella storia creepypasta che è, anche stavolta, solo uno spunto per molto altro. Si avvicina ad American Horror Story per l’approccio ironico e la parata familiare, ha qualcosa in comune con la stagione precedente per il confronto tra ragazze e il conseguente ingresso in un mondo magico/sinistro (un episodio si intitola Alice in Slaughterland). Alcune trovate sono veramente forti e la prima puntata è probabilmente la migliore dell’intero show, quasi un mediometraggio a se stante che mischia leggenda urbana, terrore della periferia, body horror alla Clive Barker e tradizione weird. Andando avanti, la stagione è meno compatta, ma ancora affascinante.
Pose, stagione 1, 2018. Con la sua solita mano, Ryan Murphy costruisce un drammone familiare pieno di sentimento e commozione. Le svolte della trama sono volutamente prevedibili, così come i vari payoff finali, ma è un gioco a carte scoperte, come il racconto di una favola.
The Kominsky Method, stagione 1, 2018. Recuperata per intero dopo aver visto i primi episodi a suo tempo. Per me è senza infamia, senza lode. Va bene per quando non c’è altro: è gradevole, qualche battuta è divertente, il sottotesto tetro non diventa mai devastante, gli episodi durano poco (quello per me è sempre una stellina extra). Non le darei mai la priorità sulle novità interessanti, ecco. Nella sua medietà, ha il valore aggiunto di trattare personaggi solitamente esclusi dalle narrazioni seriali, cioè gli anziani. Ironicamente, su certe cose la trovo un po’ “vecchia”; sarà mica Chuck Lorre il problema?