SERIE TV e STREAMING — Febbraio 2020
Locke & Key, L’amica geniale e Sex Education
Vorrei davvero scrivere qualcosa di intelligente su tutto, ma sono stanca e ho il mal di testa. Alcune parti le ho già postate su Facebook, non demoralizzatevi però perché c’è anche della roba nuova.
Novità
Locke & Key, stagione 1. Fantasy contemporaneo adattato da un fumetto di Joe Hill. Parte brillante, poi purtroppo si perde in troppe cazzate da algoritmo. Pullula di esempi di scrittura pigra, quelle cose tipo “personaggio perde oggetto importantissimo perché si distrae e gli cade di tasca proprio nel punto X che fa comodo a noi”. Ho gradito la presenza di una sorta di demone non binario. In generale, poteva essere molto meglio viste le sue stesse premesse, ma si fa guardare.
High Fidelity, primo episodio. Molto carino. Apprezzabile il genderswap che ci ha dato come protagonista Zoë Kravitz, un concentrato di coolness genetica (è figlia di Lisa Bonet e Lenny Kravitz). Intorno al 2000 c’è stato un momento in cui libro e film sono stati molto popolari; ben venga quindi un nuovo adattamento, soprattutto se riscatta l’opera dalla discreta faccia da culo di John Cusack — il personaggio principale è a malapena sopportabile incarnato da Kravitz, figuriamoci nella versione precedente. Il testo originale ha una struttura da rom-com davvero solida, immagino sia difficile sbagliare la resa su una stagione.
The Pale Horse, miniserie BBC. Sto scrivendo una recensione, per cui aspettate la prossima settimana e vi dirò tutto.
Ritorni
L’amica geniale, stagione 2 fino al 2x06. Adoro i libri e adoro pure la serie. Anche nella seconda stagione appare di nuovo chiaro che non siamo davanti a una classica fiction RAI. Non c’è bisogno della co-produzione HBO per stabilirlo, basta il numero di schiaffi che le protagoniste si prendono nelle prime puntate e soprattutto il modo in cui questa violenza si inserisce nel contesto narrativo. Deve sembrare ordinaria e allo stesso tempo infastidirci, e riesce in entrambe le cose. Appare chiaro che in questo mondo — l’Italia all’inizio degli anni ’60 — una ragazzina possa essere picchiata da chi ha un’autorità su di lei. Con tutte le conseguenze del caso, tant’è che noi stesse, donne del presente, anche quando non succede a noi siamo lambite da quest’eredità culturale (le madri, le nonne, il trauma che scende lungo le generazioni e se non scorreva nella tua famiglia comunque te lo becchi da quello della tua vicina di banco, della tua amica).
La smarginatura, come altri dettagli, si avvicina a un linguaggio horror. Quando mostrata dal punto di vista di Lila nella 2x01 ci proietta nell’intimo della sua esperienza sensoriale. La serie rimane sempre vicina ai codici di Elena Ferrante, che scrive la sua saga di formazione come se fosse un thriller psicologico — una delle ragioni per cui l’adoro.
Sempre nelle prime puntate, ci sono le scene migliori di tutta la serie. Quando Lila fa il suo ingresso in casa con l’occhio nero, ogni personaggio presente ha una reazione muta. Regia e recitazione sono eccellenti, perché mostrano il singolo istante in cui ciascun familiare guardando la ragazza capisce cosa è successo — c’è un bellissimo ritmo, piuttosto complicato, nella gestione di questi momenti. Le loro reazioni sono per l’appunto mute, però allo stesso tempo raccontano dei mondi. È come se ciascuno di loro salisse su un palco per fare un monologo sul perché, per quanto dispiaccia, tutto sommato è giusto che Lila si accolli il marito e l’abuso. Tutto questo funziona così bene perché la scena è gestita con cura, ma anche perché la prima stagione ha delineato queste condizioni di esistenza per le ragazze.
Come nei libri, la voce narrante di Lenù non risparmia mai di raccontare le proprie piccole miserie, le ipocrisie, i lati brutti di sé, ma anzi li espone nell’analisi del passato. Andando avanti, la storia diventa sempre più quella del tradimento di un’amicizia, dell’alienazione nella solitudine di entrambe le protagoniste che non possono più essere davvero compagne. Mi è particolarmente piaciuto il faccione di Lila nella 2x03: quasi distorto attraverso il punto di vista di Elena, mentre l’amica la copre di insulti sardonici. È l’orrore intrinseco ai rapporti umani, alla violenza che si trascinano, sempre presente anche nel rapporto tra le due ragazze, pieno di prevaricazioni. Comunque la giri, questa serie fa venire una gran ansia, è scritta e diretta benissimo, il cast è eccellente. Guardatela.
BoJack Horseman, seconda parte della stagione conclusiva. Ho visto una reazione particolarmente affettuosa da parte del pubblico. Per cui mi dispiace un po’ dire che per me le ultime stagioni di BoJack non hanno funzionato bene come le prime. Il problema è nella struttura complessiva. Lo potete notare chiaramente proprio in questi ultimi episodi. L’arco personale di BoJack è sempre stato la colonna portante dello show, tutto concentrato sui drammi esistenziali del suo protagonista. La serie si chiude in strettissimo collegamento con gli eventi della terza stagione e soprattutto del suo finale. È evidente che tutto quello che è passato tra la morte di Sarah Lynn e gli episodi finali del 2020 è solo un filler. La storia vera è questa, Sarah Lynn muore e BoJack deve affrontare le conseguenze. I due anni che ci sono stati in mezzo per me sono stati un eterno anticlimax. Vedo tanta gente dire che il finale è stato perfetto. Non lo so, può darsi, il mio problema è che arrivata lì ormai non me ne fregava più niente.
Shrill, stagione 2 fino a 2x06. Caruccia, ma non mi fa impazzire. Sono contenta però che non ci martellino più con il fatto che se la protagonista è grassa allora non è una persona normale.
Sex Education, stagione 2. A parte il primo episodio, mi è piaciuta davvero molto di più della stagione 1. C’è una cosa che mi fa impazzire, di questa serie: sembra ambientata in un mondo utopico, in una dimensione da speculative fiction. Il paesaggio è bucolico e pastorale, coi suoi boschi di abeti e le casette appartate, piene di piante e fiori. Quasi non sembra esistere un paese, ciascuno vive nel suo maniero con una splendida vista. La scuola è il centro del mondo, i suoi abitanti sono persone incredibilmente urbane e moderne, che forse ricevono la continua consulenza di uno stylist di grido per la scelta dei vestiti. Gli adolescenti hanno quasi 30 anni sia nell’aspetto che nella maturità emotiva. Tutto questo non mi dà fastidio perché è irreale, ma anzi, mi fa affezionare ancora di più alla serie perché tutto il suo world building è perfettamente armonioso. La ciliegina sulla torta è stata la descrizione dell’accademia militare, in evidente contrasto con le aspettative che ci sono riguardo ai suoi trope. Sono morta dal ridere stile Monty Python.
The Good Place, stagione finale, ultimi episodi. Una conclusione dignitosa, prima che la serie si allungasse più del necessario. L’ho detto parecchie volte, per me la stagione migliore rimane la prima, per come ha saputo coniugare la sua comicità surreale con una struttura ispirata a Lost. Andando avanti, l’ho trovata ancora divertente, ma a mano a mano sempre meno speciale perché gli elementi iniziali sono stati sostituiti da altri meno forti. Eleanor cattiva ragazza trash sparisce, ma con lei se ne vanno anche tutte le gag collegate; il mistero da risolvere a un certo punto viene effettivamente risolto, solo che la serie continua con un filo conduttore che non è altrettanto coinvolgente. Ho notato un meccanismo simile anche in Crazy Ex-Girlfriend: quando i personaggi si evolvono, le premesse comiche dello show non vengono mai veramente rimpiazzate con qualcosa di pari efficacia. È giusto continuare a sperimentare in quella direzione come fanno questi autori, ma sarei ipocrita se non riconoscessi i difetti dei risultati. Rimango comunque affezionatissima a The Good Place. Ho apprezzato la stagione, che mi è piaciuta di più della precedente, e adoro le gag sulla non binarietà di Janet.
Continuate da gennaio
The Outsider, fino a 1x05. Andando avanti la trovo sempre più noiosa. Mi irrita quanto sia macchiettistico il personaggio interpretato da Cynthia Erivo. Il mistero misterioso dopo le prime puntate si sgonfia e diventa davvero poco misterioso, uccidendo la mia curiosità. Lo stile che vuole essere suggestivo a volte si rivela soltanto palloso, tutto è trattato con una superficialità che trovo irritante. Cercherò di parlarvene in modo più serio quando avrò finito di vederla.
Avenue 5, fino a 1x03. Trattandosi della nuova comedy di Armando Iannucci sono riprese molte delle caratteristiche di VEEP, traslate però alla fantascienza comica. Per questo, quando è cominciata ho sentito una sventagliata di vecchio. Ma per fortuna la combinazione funziona, proprio perché porta all’estremo alcuni elementi tipici di VEEP (se non la conoscete, recuperatela perché è una delle migliori commedie di sempre).
Quindi è forse riduttivo dirlo un VEEP ambientato su un’astronave. Lo humor è lo stesso, ma le situazioni comiche diventano più grottesche. Come in VEEP, tutte le persone con un ruolo di potere sono orrendamente ciniche, ma in questo caso sono costrette a vivere assieme ai loro sudditi, in una situazione in cui da un minuto all’altro potrebbe scoppiare una rivolta. Anche se non è una vera e propria satira politica, sono curiosa di vedere dove si arriverà con le sue premesse.
Apprezzo il modo in cui vengono presi alcuni dettagli fantascientifici per costruirci attorno delle gag di “realismo nello spazio”. Per chi ama l’attenzione al particolare qui c’è tanta roba, a cominciare dalla gestione del delay nelle comunicazioni con la Terra. Quello che mi ha convinta definitivamente però è la presenza di alcuni cadaveri in orbita attorno all’astronave, trovata non temporanea ma prolungata lungo le puntate. È hard science fiction, ma tragicomica.
Evil, ultimi episodi della stagione 1. La serie è godibilissima per le stesse ragioni che menzionerei riguardo alle altre opere dei King: è sul pezzo dell’attualità e parla dei temi dell’oggi costruendo storie di puntata autoconclusive; ma poi le impasta nell’intreccio orizzontale, attribuendo più significati a un singolo snodo. E fin qui, siamo alle basi della scrittura televisiva, ma è proprio quella misura che si sta perdendo nel caos che ha portato alle streaming wars, in cui sembra valere soprattutto il minutaggio (ti inchiodo qui così non vai su un’altra piattaforma, a costo di deformare episodi e stagioni).
Non siamo ai livelli di The Good Wife/Fight, si vede che era quella la dimensione naturale dei King, mentre qui fanno uno sforzo per creare qualcosa di nuovo. Apprezzo come si sono posti verso l’horror, approcciandolo con gli elementi di cui sopra: l’attualità, le possibilità date dalla dimensione da short story degli episodi, la fusione con un’orizzontalità di respiro più ampio (la mitologia, i complottoni eccetera). Non ha sempre funzionato tutto: qualche trama è più stanca, qualche episodio gira a vuoto, tanto per mandare avanti l’intreccio. L’aspetto orizzontale è più sfocato rispetto al resto, non si contraddistingue ancora abbastanza dal generico supernatural televisivo. Però questo significa solo che non è stata raggiunta l’abituale perfezione. Per me, Evil rimane lo stesso una delle visioni migliori di questi mesi, un appuntamento che attendevo con ansia tutte le settimane. Non come aspetto The Good Fight, è vero. Ma comunque una bella versione dei King, che per fortuna è stata rinnovata per una seconda stagione.
Rewatch
The Good Fight, tutto. Ci sarebbero da fare un milione di osservazioni, mi limiterò a una: rivedendola col senno di poi, sembra chiaro che il personaggio di Maia Rindell sia stato costruito fin dall’inizio con l’idea di farle avere la svolta cattiva della stagione 3. Da subito viene esplorato il suo privilegio, particolarmente disgustoso, e il modo in cui finge con se stessa di non sapere nulla dei crimini dei genitori, per poi realizzare di esserne sempre stata consapevole. È una gaslighter che non si rende mai davvero conto di esserlo. Sotto l’aria schiva, nasconde i tratti della psicopatica e proprio per questo le informazioni sul suo personaggio sono contraddittorie. Per molto tempo, vediamo Maia come Maia vede se stessa, una versione edulcorata, più onesta rispetto alla realtà. Ma ogni tanto il mondo circostante la costringe a scoprire lati di sé che credeva non esistessero. L’evidenza è lì, sotto ai suoi occhi come sotto ai nostri, fin dalla prima puntata. Questo filo conduttore non viene mai messo da parte e continua a svilupparsi fino al finale della terza stagione. Sono davvero dispiaciuta che Rose Leslie sia uscita dal cast, perché avrei voluto vedere la sua piena realizzazione da villain nelle puntate a venire. Il lavoro di scrittura del suo personaggio ha parecchio da insegnare agli autori di Game of Thrones, che hanno fatto molto peggio con Daenerys, trasformata in tutta fretta con un’analisi psicologica davvero esile. In The Good Fight invece ci sono tutte le sfumature di cui abbiamo bisogno. Chi scrive fiction dovrebbe studiare il personaggio di Maia Rindell come caso esemplare per la progettazione narrativa a lungo termine.
Recuperi
Sto guardando del folk horror della tv inglese degli anni ’70, ma ve ne parlo più avanti con dei post dedicati [uno intanto l’ho pubblicato ed è questo approfondimento sulla tv folk horror scritta da John Bowen per la BBC, con un’analisi di Robin Redbreast e di A Photograph, a mio parere due pietre miliari].
Mi mancano
Un sacco di roba. Ultimamente sono un po’ delusa dalla fiacchezza degli snodi narrativi delle serie, specie la roba streaming che come dicevo sembra lì per farti stare sulla piattaforma a tutti i costi. Voglio guardare la nuova stagione di Altered Carbon, poi voglio recuperare una serie BBC di qualche anno fa perché è folk horror (The Living and the Dead). Voglio vedere anche Mythic Quest Ravens Banquet e I Am Not Okay With This. Di Hunters ho sentito parlare malissimo quindi forse la salto. Gentefied vedo che ha buoni riscontri per cui prima o poi la pesco. Appena riesco riprendo la seconda stagione di Kidding, una serie che mi piace molto e di cui avevo scritto qua. Mi ero segnata anche Interrogation.