SERIE TV e STREAMING — Aprile 2020
Run, RuPaul’s Drag Race, la app Quibi e altro
Sto cercando di selezionare quello che guardo e seguire solo il meglio. Il mese è passato senza troppe irritazioni seriali, segno che la scrematura ha funzionato.
Novità
Run, fino a 1x03. Nuova serie HBO creata da Vicky Jones, collaboratrice di Phoebe Waller-Bridge, che infatti è marginalmente coinvolta anche qui. È una storia basata sui personaggi, ritratti con un’attenzione incredibile alle sfumature e soprattutto alle loro fragilità, alla paura che hanno mentre si mettono in gioco l’uno con l’altra. Fin qui è una serie scritta molto bene, che ha due attori perfetti come protagonisti: Merritt Wever e Domhnall Gleeson (ed entrambi non potrebbero essere più in parte di così). Con un piccolo spoiler alert, proseguo dicendo che l’intreccio è pieno di misteri, con atmosfere da thriller, e il formato è meravigliosamente breve, a supporto di un ritmo non troppo rilassante. L’aspetto più intrigante di questo tipo di struttura è però nel fatto che lo show parla dell’incontro di due ex innamorati, 15 anni dopo. Una storia di fantasmi del passato che ti si palesano davanti, inconsapevoli di tutta la vita che è trascorsa. Qualcosa di affascinante, minaccioso, terribile, che crea una gran confusione. La serie lo racconta quindi attraverso una vicenda straordinaria, ma focalizzandosi su una sensazione condivisibile più o meno da chiunque. Scavando bene, c’è sempre un aspetto thriller/horror psicologico in quasi tutte le migliori storie d’amore che vedo sullo schermo, e questa direi che non è da meno.
Tales from the Loop, primi 3 episodi. La struttura è antologica, però mantiene lo stesso l’orizzontalità, e per ora sta funzionando benissimo. I personaggi sono collegati in un girotondo. Si percepisce una linea comune, ma essa lascia spazio a quel tipo di puntata semi-autoconclusiva che mi aveva colpita nella prima stagione dei Leftovers. Il parallelo non è assurdo, perché siamo nella stessa zona di fantascienza esistenziale concentrata soprattutto sui rapporti umani. La zona del crepuscolo individuata dallo show è costellata da tante difformità nello spaziotempo di quel pezzetto di universo. Sono incongruenze che i personaggi incontrano per caso o cercano con ostinazione; ma poi la storia che ci viene raccontata parla soprattutto di relazioni personali spinte all’estremo da queste situazioni paradossali, più che dei paradossi stessi. È una scelta meno evidente nel pilot, ma diventa preponderante nei due episodi successivi.
Ritorni
What We Do in the Shadows, fino a 2x03. Rincuorante, ritrovarla in questo momento di tensione mi ha fatto piacere. Sto apprezzando l’uso del personaggio di Guillermo come linea orizzontale della stagione. Mi hanno fatto molto ridere alcune delle gag di Nadja, mentre quelle dei suoi congiunti sono più loffie. Secondo me dipende dal fatto che Nadja è costruita come l’unico personaggio intelligente, mentre ai due vampiri maschi viene riservato uno humor più pecoreccio. In questo senso, trovo i personaggi a volte sprecati (specialmente Laszlo), soprattutto rispetto a come erano invece impostati quelli del film da cui è tratta la serie.
RuPaul’s Drag Race, fino a 12x09. Il suo ritorno ha contribuito a rimettermi quasi di buon umore in un momento nefasto. Stagione buona, la formula è sempre la stessa ma non mi annoia. Quest’anno le puntate sono precedute da un cartello inquietantissimo in cui si spiega che uno dei concorrenti è stato squalificato perché è stato accusato di molestie sessuali e altre cose brutte (l’ex concorrente ha riconosciuto la propria responsabilità in un post su Facebook). La stagione è stata rimontata (qui un esempio) in modo da rendere questa drag queen, Sherry Pie, un non-personaggio: non la dipingono né in modo positivo, né in modo negativo, e questo è apprezzabile; non c’è una sua linea da seguire, ha pochissimo screen time; insomma, è lì ma è una figura di sfondo.
Capisco perché sia stata presa questa decisione — cioè, immagino più ragioni diverse tra loro, alcune nobili, altre meno. La visione mi risulta straniante perché comunque si vede e si sente che questa persona è lì e partecipa, mentre l’editing finge che non sia così. È come una macchia sfocata che ogni tanto invade lo schermo (non in senso letterale, non è pixelata). Al di là di quello che ne possiamo pensare personalmente, è un caso interessantissimo per la storia del talent show. Si è capito che Sherry Pie è una delle partecipanti più forti, per cui col procedere della stagione si verifica quello che è stato efficacemente descritto su Vulture in questi termini: «She’s just going to be a weird, amorphous blob sitting at the center of this show, like a melting cake sitting in the middle of a picnic». E in effetti, questo si sta rivelando un grande esempio di televisione weird: come scriveva Mark Fisher, «il weird non può soltanto respingere il lettore, ma deve anche imporsi alla sua attenzione», ed è esattamente quello che sta succedendo con Sherry Pie.
Insecure, fino a 4x03. Mi sta piacendo come viene analizzata la rottura dell’amicizia tra Issa e Molly: quando le due sono insieme, il punto di vista del racconto non è mai quello di Issa, la protagonista, ma di Molly, che ne nota le sgradevolezze. Per il resto, continua la tradizione HBO delle abbondanti scene di sesso, che in Insecure mi lasciano sempre la sensazione di qualcosa di scollegato da tutto il resto, e non è un complimento. Interessante la sottotrama sul confronto tra Issa e l’amicizia con la nuova fidanzata dell’ex: sono davvero curiosa di vedere dove porterà, quale sarà la riflessione sui rapporti umani e nello specifico tra donne in competizione sentimentale.
Killing Eve, fino a 3x03. In queste prime puntate ho trovato una sensibilità che mi pare adatta alla materia, gli episodi mi sono piaciuti. Nella 3x01 c’è un grosso sacrificio alle divinità degli snodi di trama importanti. È messo in scena con la giusta tetraggine e apre una sottotrama gialla che potrebbe giovare, dando una struttura alla stagione.Ottimi i personaggi nuovi, bello il cast. Non ci sarebbe neanche bisogno di dirlo: Sandra Oh e Jodie Comer sono stupende come al solito.
Oksana è sempre lei, ma sta cercando di crescere. La nuova showrunner Suzanne Heathcote ne ha colto benissimo gli aspetti più intriganti, quel mix malato in virtù del quale più si comporta da sociopatica, più l’amiamo. Per fare un esempio, nella 3x03 c’è una scena esilarante in cui rapisce una bambina e poi trova divertentissimo che la sua supervisora la metta in un cassonetto. Pensate quello che volete, ma queste sono scelte coraggiose nella tv del 2020. Eve riparte dalle macerie, nascosta nel ristorante cinese, distrutta dalla vita e dall’alcol. La morte continua a essere messa in ridicolo con gli omicidi grotteschi di Villanelle. Ancora presente il tema che regge tutto: l’amore disperato, assolutamente irrealizzabile e scollegato dalla realtà, e per questo romanticissimo. Con molta onestà, di questo romanticismo la serie continua a mostrare la tossicità radioattiva.
Vida, 3x01. Buon inizio per la stagione; purtroppo sarà la conclusiva, con soli 6 episodi, per decisione del network Starz.
Continuate da marzo
Westworld, fino a 3x07. Stagione trashissima, in cui molti personaggi sono stati completamente mandati in vacca. È palese che dopo la prima stagione non c’era nessun progetto chiaro per il personaggio di Maeve, o che se per caso c’è stato, esso è stato abortito già parecchio tempo fa. Bernard pure, direi che ce lo siamo perso nel parco. Sto apprezzando invece Dolores come eroina action alla Matrix misto Terminator: era già piatta come una tavola nella stagione 2, qui almeno intrattiene. Prendendola per la trashata che è, Westworld la guardo comunque volentieri perché così la trovo divertente. La mia teoria sul finale di stagione? Dolores Prime è la moto. Sarebbe coerente con l’andazzo generale.
Better Call Saul, seconda metà stagione 5. La stagione nel complesso non mi ha convinta, ma ho apprezzato gli ultimi episodi, in cui la dimensione thriller riesce finalmente a respirare. Lodevole che la protagonista della stagione fosse Kim (è il suo punto di vista a prevalere), ma ho trovato in generale deboli le situazioni, poco emozionanti i dilemmi dei personaggi — sia di Kim, sia degli altri — durante tutta la prima metà della stagione. A questo si somma la tendenza a far succedere le cose solo perché la trama possa andare avanti. Nella struttura della stagione c’è qualcosa di davvero inefficace e sbilenco (esempio: notate come la prima puntata inizi con un flashforward lasciato in sospeso, che viene completamente dimenticato andando avanti).
Ho apprezzato invece il ritratto impietoso di Saul: le sue fragilità sono patetiche, nel senso che si può compatirle, ma sono anche antiestetiche, disgustose (è frustrato, puerile, avido). Anche su Kim riesce un bello studio di personaggio, palesandone l’etica contorta (sono disonesta per essere onesta), che prima o poi le si ritorcerà contro. Saul è il suo Satana personale, catalizzatore di una sottile trasformazione; ma ho la sensazione che Kim finirà per prendere altre decisioni, in autonomia, che la potrebbero portare verso la corruzione morale (sotto l’aspetto angelico, inizia a emergere il peculiare cinismo del personaggio). Da parte degli sceneggiatori si sente lo sforzo di non usare Kim come un plot device finalizzato esclusivamente all’arco del protagonista maschio, e in questo senso sono curiosa di vedere dove andranno a parare in futuro.
Devs, ultimi episodi. La stagione ha avuto più difetti che pregi. Peccato quindi per uno spunto buono andato sprecato. Mi è piaciuto il penultimo episodio, che aveva un ritmo decente. Ho trovato insensate alcune puntate costruite esclusivamente intorno a “personaggio fa una rivelazione”, in cui lo snodo di trama viene gonfiato a dismisura senza dargli alcun ulteriore sostegno narrativo. Essendo la serie interamente scritta e diretta da Alex Garland, mi sembra evidente che il problema sia nel suo approccio alla scrittura seriale. A mio parere, Devs sarebbe remixabile in formato film con un buon risultato, ma per come è stata costruita invece andrebbe completamente cambiata per farne una serie davvero funzionante. Esteticamente però l’ho trovata molto riuscita, il che rende la fruizione comunque gradevole.
Rewatch
Scrubs, stagioni 1 e 2. Dopo l’inizio della prima stagione, la comicità migliora e la serie diventa davvero divertente. Non condivido però i valori che comunica, li trovo spesso irritanti. All’inizio credevo fosse solo perché tutto è filtrato dalla prospettiva di J.D., maschiobiancocentrica, ma in realtà la questione è più complicata. J.D. alla fine viene costruito apposta per essere un personaggio odioso, a volte sembra che stia sul cazzo pure agli sceneggiatori, tant’è che gli hanno appioppato il Janitor, demone personale che lo tortura all’infinito. Se ci fate caso, l’eroe della serie è il dottor Cox, tant’è che se Scrubs fosse uscita qualche anno più tardi credo che avrebbero usato lui come protagonista (si allinea perfettamente ai personaggi antieroici tanto in voga alla fine degli anni 2000). Ci ho pensato a lungo, e alla fine ho capito cos’è che mi fa incazzare di Scrubs: anticipa quello che per la generazione successiva è diventato lo scontro Millennial vs Boomer, però lo fa dalla prospettiva boomer.
La morale di quasi ogni puntata di Scrubs è che il bullismo fa bene, è una forma di educazione dentro la caserma/ospedale in cui i novellini devono farsi le ossa a forza di schiaffoni. I protagonisti stessi lo riconoscono praticamente in ogni scena, tant’è che la gag principale è l’innamoramento che J.D. prova per il suo mentore-aguzzino Cox (la serie fa particolarmente ridere quando descrive questo rapporto, anche perché essendo J.D. odioso ci rallegriamo per ogni meschinità che Cox gli rivolge). Il cattivissimo Kelso sotto sotto è lui stesso un eroe, che fa ciò che è necessario: essere spietato per far sopravvivere il sistema ospedale/trincea. Kelso, Cox e J.D. rappresentano le tre fasi dell’uomo/soldato, che parte giovane e tenero per farsi poi la buccia attraverso le asperità della vita. I bravi maestri giustamente esercitano piccole forme di violenza che risultano sempre educative, cosicché il giovane snowflake capisca cosa è davvero importante. Il fatto che anagraficamente Cox sia un boomer e i novellini siano della Generazione X quadra ulteriormente con la mia teoria: una decina d’anni dopo, i Millennial avrebbero mandato a cagare Kelso e Cox, mentre la Gen X assorbiva malinconicamente le lezioni di vita dei maestri boomeroni. Sto generalizzando, ovviamente, e le definizioni generazionali lasciano il tempo che trovano; ma è innegabile che una morale di quel tipo sarebbe diventata più rara nelle commedie del decennio successivo.
Quibi
Ho scaricato l’app Quibi, di cui molta critica ha parlato malissimo ovunque (un bell’esempio lo trovate qua). Anche a me non ha fatto una buona impressione. Si tratta di una piattaforma streaming solo per mobile, abbastanza costosa ma gratis nel periodo di prova. I contenuti che ho visto sono mediocri. In alcuni casi, la pubblicità parla di “film in capitoli”, ma se analizzo come sono strutturati non si tratta davvero né di film, né di serie: gli episodi sono semplicemente plot point scontornati da tutto ciò che li può rendere davvero interessanti. Di questa categoria, ho guardato un po’ di Dummy, The Stranger e Most Dangerous Game. È tutta roba molto acerba, come una bozza di qualcosa di più sviluppato, in cui non c’è tempo né per introdurre in modo appropriato i personaggi, né per creare qualsiasi sfumatura. Il concetto in sé lo trovo interessante: quante volte un film o una serie ci fanno perdere tempo per niente perché sono scritte male? In quei casi, sarebbe meglio che andassero dritte al punto, come fanno gli show su Quibi. Il problema però è proprio questo: sarebbe meglio soltanto quando un’opera è mal scritta. Infatti le serie di Quibi ricadono in quella categoria. Di buono rispetto alle serie scritte male di Netflix hanno che durano un decimo del tempo. La soluzione però a mio parere è non guardare serie orrende e cercare invece solo quelle buone e quelle ottime.
La serie più interessante sulla carta è Dummy, ma proseguendo perde tutti gli spunti buoni da cui parte (nelle intenzioni, una satira femminista) e diventa una cosa involontariamente inquietante. Le altre due che ho menzionato sono dei thriller che funzionicchiano nel creare ansia, ma sono veramente grezzi (Most Dangerous Game sembra davvero uscita dal famigerato cestone Netflix). Comunque la sensazione è quella di stare guardando il riassunto di una storia, e che vada bene riassumerla perché tutto sommato non era poi così urgente raccontarla.
Ho guardato anche 4 interi episodi di 50 States of Fright, un’antologica horror creata da Sam Raimi, motivo principale per cui ho fatto il download. Ogni puntata è ispirata a una leggenda urbana o a un mito locale dei diversi stati, quindi ha del potenziale nell’ambito del folklore horror. Il risultato non è niente di straordinario, ma non è nemmeno terribile. Tra i titoli che ho guardato, è il migliore. È anche quello che più si avvicina alla serialità convenzionale: gli episodi sono semplicemente divisi in 3 parti, durando complessivamente una ventina di minuti, cioè un formato simile a tanto horror televisivo da The Twilight Zone ai Tales from the Crypt. Mi è piaciuta la prima puntata, diretta da Sam Raimi e interpretata da Rachel Brosnahan, ma andando avanti non ho riscontrato niente di speciale rispetto ad altro horror senza infamia e senza lode che è uscito negli ultimi anni in tv/streaming (tipo il Creepshow di Shudder dell’anno scorso). In favore delle piattaforme per mobile, ho riscontrato che guardare una storia molto prevedibile in questo formato (episodi spezzettati, durata breve, schermo piccolo) crea un senso di understatement che mi rende meno irritante il fatto che i soggetti siano così banali.
Le serie si possono guardare sia in orizzontale sia in verticale. Nella maggior parte dei casi, l’orizzontale è palesemente il formato migliore. Il verticale sembra un semplice crop di pezzi delle inquadrature, che per questa ragione sono state concepite come uno di quei compromessi che scontentano tutti. L’unico caso in cui ho notato che il verticale funzionava meglio sono alcune scene del primo episodio di Dummy, che cambiano notevolmente quando la bambola gonfiabile co-protagonista (!) è ripresa in verticale, perché si vede la sua posa scomposta e oscena; ma negli episodi successivi non succede più e le inquadrature sono migliori in orizzontale.
Un aspetto intrigante che ho notato è la bingiabilità delle opere, al di là della loro qualità: sono più incline a cliccare sull’episodio successivo se ogni pezzo dura pochi minuti, anche se razionalmente so che la durata complessiva sarà molto più lunga. Psicologicamente mi sento meno impegnata dal significato dell’azione, e ho il sospetto che sia così per la maggior parte degli utenti. In questo, vedo un potenziale enorme. Chiaramente non è un discorso che riguarda solo Quibi, ma anche YouTube, Facebook etc, visto che la fiction di questo tipo esiste da anni (si veda il modello Skam).
Penso che ragionare su format pensati per il mobile sia stimolante e che di spazio per migliorare ce ne sia. Riguardo a Quibi, sembra che le cose che sono lì ci siano arrivate in modo tortuoso e siano state adattate al volo a un contenitore che convinceva poco chi le ha concepite. Sul fatto che alla fine la roba per il mobile si affermerà come diversissima da quella per pc e smart tv ho però ancora dei dubbi.
Ancora da vedere
Alcune di queste non le ho guardate perché sospetto che possano farmi venire di nuovo l’irritazione seriale, ma altre mi interessano.
Home Before Dark, stagione 1
Normal People, stagione 1
The Midnight Gospel, l’ho iniziata, ne riparlerò
Mrs America, miniserie
Little Fires Everywhere, miniserie
Il primo episodio di Penny Dreadful City of Los Angeles
The Plot Against America, miniserie
Kidding, stagione 2 (ho guardato la 2x01 e non mi ha detto molto)