Serie TV — Aprile 2019
Game of Thrones, Chilling Adventures of Sabrina, Barry.
Un mese in cui per me hanno contato di più i ritorni rispetto alle novità, quindi parto con quelli.
Ritorni
Chilling Adventures of Sabrina, stagione 2. Ancora meglio della stagione precedente, l’ho molto amata e ne ho parlato diffusamente in una recensione.
Killing Eve, fino a 2x04. Fulgido esempio della tv del presente. Il lesbo drama di spionaggio ridefinisce il genere. Ottimo lavoro anche con questa stagione, passata nelle mani di Emerald Fennell.
Barry, fino a 2x05. Seconda stagione all’altezza, alla prima aggiunge un approfondimento sul senso dell’uccidere per Barry, una specie di origin story e un episodio assurdo di ispirazione fratelli Coen (ronny/lily, 2x05, diretto dallo stesso Bill Hader). Sempre cattivissima, nella mia testa continua a essere la versione comica di Breaking Bad.
Game of Thrones, stagione 8, fino al terzo episodio. Che dire, è l’ultima volta che viviamo questa enorme esperienza collettiva. L’ultima volta che mi ossessiono per ore, giorni e settimane. Quante parti fondamentali della mia esistenza sono legate indissolubilmente a questa serie (spoiler: più di quelle che pensate, probabilmente). Ne parlo continuamente su Facebook e qui su Medium.
Novità
Chambers, 1x01 e 1x02. La prima superiore alle aspettative, la seconda già più nella media, ma comunque ben eseguita. Horrorino stiloso dalla regia intelligente, visivamente bello nella 1x01 — quasi “indie da festival”, se me lo passate. C’è una grossa componente teen drama realizzata con naturalismo e sensibilità (guardate come viene rappresentata la sessualità della protagonista, rispetto a Game of Thrones). L’ambientazione implica una serie di questioni su classe e razzismo che rendono l’intreccio più interessante. C’è Uma Thurman in un ruolo gotico. Creata da Leah Rachel, ma la showrunner è Akela Cooper, che viene da American Horror Story — Roanoke, Grimm e The 100.
Reboot di The Twilight Zone, fino a 1x04. La partenza mi era piaciuta, ma andando avanti mi sto disamorando. Si fa guardare, ma non è la svolta nella serialità antologica del weird tale.
Bonding, 1x01 e 1x02. Commedia Netflix che parla di sadomasochismo e fa ridere a tratti. Mi sta lasciando perplessa l’assenza di empatia nella rappresentazione dei clienti, dipinti esclusivamente come macchiette, e una certa banalità delle gag.
Continuate dal precedente recap
The Act, fino al 1x06. A due puntate dal finale, devo dire che sono leggermente delusa dal nuovo show Hulu di Nick Antosca (Channel Zero). È una rilettura gotica del true crime, perfetta per la vicenda di violenza familiare narrata. L’intento è in parte realizzato, ma la variazione della formula non diventa mai originale come invece quella di American Crime Story. Il formato in 8 episodi è risultato troppo lungo per la storia che viene raccontata. Rimane un esperimento interessante, che ha i suoi pregi, ma da cui mi aspettavo di più.
The Good Fight, fino al 3x07. Sempre perfetta. The Good Wife e The Good Fight sono tra le serie che hanno segnato per me questo decennio. In questa stagione, i personaggi si confrontano col diavolo, che non è incarnato soltanto dal personaggio di Michael Sheen (divertente), ma soprattutto dalla tentazione della sinistra liberale di adeguarsi ai sistemi della destra più becera. Maia Rindell è stata risucchiata da questo meccanismo, ma anche Diane si muove sul filo del rasoio.
You’re the Worst, finale. Non mi ha fatta impazzire né di rabbia né di gioia.
This Is Us, ultimi due episodi della terza stagione. Bella la riflessione sul ruolo di secondo piano di Beth nel suo matrimonio (nel penultimo episodio), punto però resettato dal finale. Si termina senza un vero cliffhanger, ma più che altro delle anticipazioni sul futuro (per una volta, ci può stare).
RuPaul’s Drag Race, stagione 11, fino a 11x08. Una grandissima stagione, con un cast di alto livello, personaggi fortissimi. Ogni eliminazione è una tragedia. La protagonista è giustamente Yvie Oddly, la sua antagonista Silky Ganache, di cui ammiro la dedizione alla causa: per amore di drama, si è fatta odiare da tutto il pubblico. Spero che RuPaul abbia una buona ricompensa da offrirle.
Recuperi
American Horror Story — Cult, stagione 7. L’avevo iniziata a suo tempo e interrotta perché era troppo violenta per me in quel momento. Le prime puntate sono un esempio importante di tv horror che unisce un lato più di exploitation (home invasion, clown cattivi, sadismi vari) a una cronaca delle idiosincrasie del suo presente. Nello specifico, l’elezione di Trump e il suo effetto sulla popolazione bersaglio dell’odio, in un discorso intersezionale che espone la sua protagonista benestante, liberale, bianca e lesbica a tutti i paradossi e le contraddizioni della sua condizione. A incarnarla chi, se non Sarah Paulson? L’antagonista perfetto è Kai, interpretato da un Evan Peters coi capelli blu, rappresentante di un’alt-right nichilista che prospera nell’ignoranza, nel caos e nella misoginia. Tra quelle che ho visto, è la stagione che mantiene meglio il ritmo generale. Divertente e cattivissima, con la mia Paulson preferita fin qua, una grande quantità di momenti memorabili e punte di delirio spiazzanti.
Channel Zero — The Dream Door, stagione 4. Si conclude l’avventura di una serie horror weird fuori dal comune. Dopo la cancellazione, il suo creatore Nick Antosca ha detto: “I’m very sad to see Channel Zero go but I’m incredibly proud and kind of amazed that we got to do four seasons of a weird art horror film on the Syfy Channel”. Ha ragione: rallegriamoci del fatto che sia esistita. The Dream Door si può dire che sia la stagione più riuscita sotto vari aspetti tecnici: la scrittura è più a fuoco, il ritmo seriale perfetto, la color correction finalmente mette qualche tono saturo. Ci sono gli elementi ricorrenti che affiorano in tutte le stagioni, con il classico sobborgo fuori dal tempo e dallo spazio che finisce per mostrarci la sua immagine negativa col quartiere fantasma. Ci sono mostri che escono dai disegni dei bambini, una scatola di pastelli a cera che ha preso vita diventando assassina. C’è la necessità di accettarsi senza sopprimere il proprio lato più incomprensibile e spaventoso.
Dal 2016 al 2018 Channel Zero cresce, spingendosi ogni volta oltre i propri limiti, migliorando e spaziando nel suo universo conturbante. La fotografia slavata, che facevo fatica ad accettare nella stagione 1, andando avanti ha acquisito un significato preciso: Channel Zero ti porta in un mondo sospeso e pieno di disagio, quello del sogno che è sempre sul punto di diventare incubo. Sul punto di, perché non è un mondo di pura violenza, delirio e risata come quello di American Horror Story. Il suo elemento ricorrente è la suburbia, declinata in ogni modo possibile: il villaggetto della s1, il quartierino fuori dalla realtà della s2, la periferia decadente della s3 e quella ordinata della s4 sono in fondo sempre lo stesso luogo/non luogo privo di un centro, in cui i personaggi fluttuano mantenendo un equilibrio impossibile. Il format è perfetto, stagioni antologiche con 6 episodi da 42 minuti. Writer’s room popolata di gente brava, con un sacco di donne e Don Mancini della Bambola assassina (in arrivo l’adattamento seriale fatto proprio con Antosca). Non c’è una storia migliore della altre, ma ora, a visione completata, posso assegnare i miei premi:
MIGLIOR MOSTRO
- Terzo posto: i nani killer della s3 Butcher’s Block.
- Secondo posto: Tall Boy coi sandali e i calzini arancioni nella s4 The Dream Door.
- Primo posto: “Dentino” della s1 Candle Cove.
MIGLIOR EPISODIO: 3x01, Insidious Onset di Butcher’s Block. Uso perfetto dei racconti creepypasta da cui è presa, mescolati con elementi originali ispirati a Clive Barker, il tutto con una rappresentazione da brivido della periferia urbana e dei suoi mefitici giardinetti.
MIGLIOR MOMENTO: quello “Eraserhead” di The Dream Door, alla fine della puntata 4x05.
MAGGIOR DISAGIO: quella sensazione lurida di non riuscire a svegliarsi da un sogno sgradevole generata dall’intera s2 No End House.
MIGLIOR SCRITTURA SERIALE: il ritmo di The Dream Door è decisamente superiore a quello delle altre stagioni. In generale, gli episodi scritti da Nick Antosca sono quasi sempre i migliori.
MIGLIOR METAFORA: quella del lutto in No End House, dove i ricordi dei defunti si trasformano in mostruosità persecutorie.
IMMAGINE CHE RESTA FOREVER: le bolle che si sgranocchia il “padre” in No End House.
PREMIO SIMPATIA: la malattia mentale in Butcher’s Block.
PERSONAGGIO PIÙ STUPIDO: Tom, il marito della protagonista in The Dream Door.
MIGLIOR PERIFERIA: quella fantasma del finale di The Dream Door, quasi una versione realistica della No End House.