Scatola nera, il racconto di Jennifer Egan
Come è invecchiato un esperimento di letteratura su Twitter?
Di Sara Mazzoni
Torno indietro di qualche anno leggendo Scatola nera, un racconto di Jennifer Egan pubblicato nel 2012. È interessante ritrovarlo oggi e vedere che faccia ha il nostro passato prossimo, specie quello che ragiona sui social media e la tecnologia.
Riprendendo l’idea di interconnessione tra persone (e testi) che caratterizzava Il tempo è un bastardo (ovvero A Visit from the Good Squad in originale), Jennifer Egan recupera Lulu, uno dei personaggi del romanzo che le valse il Pulitzer nel 2011, e la rende protagonista di questo racconto.
Che si tratti di Lulu è indiscutibile, anche se la voce narrante non rivela mai il nome della protagonista del racconto — e non è un caso, come vedremo. I dettagli biografici coincidono con i suoi, dieci anni dopo (suo padre era una star del cinema che lei non ha mai conosciuto; la sua professione di futuribile addetta marketing; l’ingegnere kenyota con cui era fidanzata è diventato il marito).
Se sappiamo che si tratta di lei, sappiamo anche che siamo nel futuro, perché nel presente narrativo del libro (2010, circa), Lulu era una bambina. Probabilmente ci troviamo dopo il 2030. E in effetti il mondo di Scatola nera è dotato di una tecnologia più avanzata della nostra, tant’è che il racconto è spesso definito di fantascienza (a cominciare da Wikipedia). A me, le apparecchiature futuribili menzionate nella storia hanno fatto pensare più all’universo di 007, che in effetti usa una tecnologia fantascientifica. E come genere, Scatola nera è proprio una storia di spionaggio.
L’operazione che ha generato questo ebook è legata all’immagine di Egan come la scrittrice legata a temi “2.0”, l’ipertestualità e via dicendo (si veda appunto Il tempo è un bastardo, costruito come un incastro di storie connesse tra tempo e spazio, e pieno di attenzione per il futuro della società derivato dall’uso dei nuovi media). La storia è stata pubblicata per la prima volta dal New Yorker nel 2012, su Twitter; si tratta quindi di un racconto costituito da una lunga serie di aforismi contenuti in 140 caratteri, che messi insieme formano effettivamente una vera storia — tant’è che non ogni tweet ha una particolare rilevanza a sé stante, ed è stato fatto notare che il racconto è bello, ma non è un esempio calzante di letteratura trasposta su Twitter.
Ero sospettosa rispetto alla formula tweet, avevo paura che fosse una forzatura — come mi era sembrato forzato il capitolo stile Powerpoint in Il tempo è un bastardo (che poi, voglio dire, dai, proprio Powerpoint; e va bene che lo stile infografico cambierà nel corso del tempo, va bene che a un certo punto risulteranno datate pure le infografiche fighette di questi anni; ma siamo proprio sicuri che l’estetica di Powerpoint possa in qualsiasi maniera risultare futuribile per qualcuno?).
Avevo il timore che, come il capitolo del romanzo, fosse qualcosa che cercava in modo greve di adattare il linguaggio romanzesco a quello dei media odierni e futuri; che finisse per essere troppo semplicistico, o mal riuscito, o brutto da leggere — e il Powerpoint un po’ lo era. Ogni tanto, leggendo il romanzo Pulitzer, mi ero chiesta se dietro alla struttura a interconnessione ci fosse un vero pensiero, un vero senso, o se fosse invece una confezione per contrabbandare il romanzo in un’epoca (il 2010) in cui il mondo editoriale si interrogava sui cambiamenti del futuro, con la paranoia che la scrittura come la conoscevamo venisse spazzata via da non si sa bene quale nuova forma derivata dal web.
Oggi, nel 2017, l’editoria è ancora in crisi e la carta stampata piace sempre meno, ma la forma del romanzo e del racconto mi pare venga messa in discussione in modi più ragionati, sulla base di idee e dibattiti letterari (non paranoidi); che so, ragionando sul ruolo della non-fiction, per dirne una.
Insomma, avevo il timore che Scatola nera fosse un’operazione nata morta già all’epoca. Solo ora lo recupero, in questo inizio 2017 ormai lontanissimo dal contesto che lo ha prodotto. Posso dire che Egan ha trovato un senso alla struttura aforistica data dal formato tweet, raccontando la storia — tra l’altro in seconda persona singolare — come una serie di istruzioni che la protagonista riceve. La seconda persona singolare lo fa diventare un tu/io, come se parlasse a se stessa. È tutto giustissimo, coerente, perché il personaggio è perso in un’avventura solitaria, senza confidenze e amici, e perché ha davvero ricevuto una specie di addestramento spionistico, per l’appunto delle istruzioni, una lunga serie, che la forzano a fare cose che non le piacciono e che sono pericolose.
Il racconto, è stato detto, parla dell’oggettificazione della donna e del corpo femminile; e sì, decisamente lo fa, e anche questo è coerente con il tema dello spionaggio — mi viene in mente la bellissima serie tv The Americans , che fa riflessioni analoghe, e anche più profonde, sull’uso e abuso dei corpi e delle vite degli agenti segreti protagonisti. Come in The Americans, dove i personaggi sono fedeli all’Unione Sovietica, la ragione che spinge la protagonista a prestarsi a tutto questo è il patriottismo, la devozione all’America. E l’America prende il suo corpo e lo trasforma nella scatola nera del titolo. In questo senso, non è un caso se Lulu non viene mai chiamata per nome, e viene anzi definita soltanto con l’appellativo “una bellezza”. Quello è lo spazio eroico che la patria le ritaglia: il suo corpo espropriato, la sua bellezza usata come paravento e esca.
Quindi sì, tutto coerente. Il racconto è scritto bene, appassiona, scorre. Piacerà di più a chi ama la scrittura rapida e sintetica; d’altra parte, sapendo che è una storia costruita sui tweet, non credo che vi aspettiate dei periodi alla David Foster Wallace. Se l’operazione sia invecchiata bene non riesco a dirlo, perché il punto è chiedersi se questo tipo di adattamento della letteratura a Twitter funzionasse già all’epoca. D’altra parte, quello che rimane a distanza di anni non è la pubblicazione online (quella anzi era scomparsa nello stream dei tweet già nel 2012), ma l’edizione ebook di un bel racconto costruito con piccoli paragrafi. La forma non è stata rovinata dalla necessità di inserirlo su Twitter; ma, che la necessità fosse davvero necessaria, può essere dibattuto.
(Potete leggere il racconto integrale in inglese qui).