Love, Death & Robots, prime impressioni

Riflessioni sulla nuova serie Netflix dopo 7 episodi

Sara Mazzoni
5 min readMar 15, 2019
Three Robots

Prime impressioni su Love, Death & Robots, serie antologica uscita oggi su Netflix, creata da Tim Miller (Deadpool). L’idea del format è interessante: una raccolta di cortometraggi di fantascienza, in cui ciascun episodio ha una durata diversa (tra i 6 e i 17 minuti) e usa una differente tecnica di animazione o il live action. Magari vi suona come vedere una compilation scelta dallo staff di Vimeo, e in parte è così. Io valuto positivamente questa scelta su una piattaforma come Netflix: è forse la cosa più bingiabile che esista, ed è bello avere accesso a materiale eterogeneo, breve e autoconclusivo anche dalle loro parti (lo dico da persona che spesso lascia andare YouTube a ruota libera sulla smart tv).

La verità però è che non c’è davvero la pluralità di un Vimeo randomico: ogni episodio ha registi diversi, ma gli script sono scritti dalla stessa persona, Philip Gelatt (il regista di un film interessante anche se solo parzialmente riuscito, They Remain del 2018, ne ho parlato brevemente qui). Fin dove sono arrivata io, si tratta di adattamenti di racconti brevi di autori famosi della sci-fi letteraria, eccetto uno, The Witness, che è un soggetto originale ed è scritto dal regista stesso, Alberto Mielgo.

The Witness

Ho guardato 7 episodi, nell’ordine in cui me li proponeva Netflix. Cercando informazioni, ho riscontrato su Wikipedia e Imdb un ordine differente rispetto a quello che ho trovato io; e l’ordine che vedo in queste fonti mi pare più sensato di quello che è stato proposto a me, perché mi son ritrovata corti con stili simili uno in fila all’altro, mentre l’idea dello show è chiaramente quella di creare un grande mix che stupisce per la sua eterogeneità.

Quelli che ho visto io sono:

  1. Beyond the Aquila Rift
  2. Three Robots
  3. Sonnie’s Edge
  4. Fish Night
  5. Secret War
  6. Ice Age
  7. The Witness
Fish Night

Chiarito questo punto, posso dire che lo show non mi sta entusiasmando, pur apprezzandone le premesse. La fantascienza è un contenitore in cui si può trovare qualsiasi cosa, dalla più canonica alla più rivoluzionaria; Love, Death & Robots (fin qui) mi pare sprechi l’occasione di essere davvero originale. Alcune storie non vanno oltre lo scontato, altre rimangono un po’ lì, fini a loro stesse. Qualcuna mi ha colpita positivamente, ma sono una minoranza.

L’episodio che ho trovato più rilevante è la storia cyberpunk Sonnie’s Edge di Dave Wilson, puntata che secondo Imdb avrebbe dovuto aprire la stagione, con risultati credo potenzialmente migliori. Qui funziona tutto: animazione, regia, montaggio; il formato breve concentra una serie di svolte e colpi di scena non troppo prevedibili (non si può dire lo stesso di tutti gli episodi); si parte da un cliché particolarmente fastidioso, che viene però analizzato e in parte sconfessato; gore, violenza ed erotismo sfruttano i loro eccessi pur non risultando gratuiti.

Sonnie’s Edge

The Witness si fa notare per l’originalità dell’animazione e per l’immaginario visivo, si chiude con un twist molto piccolo rispetto a una conclusione la cui ovvietà è già chiara dalla prima scena, e sembra più che altro un esercizio di stile su un plot classico. Ice Age, diretto dallo stesso Miller, è simpatico e allieta inserendosi nel ritmo di una stagione che vira spesso al cupo. Fish Night è troppo inconsistente per stare in piedi da solo, nonostante le belle immagini. Three Robots non va oltre la gag che vuole essere. Secret War vorrebbe essere un edificante racconto di guerra, e ho già detto tutto.

Beyond the Aquila Rift, corto di apertura nella versione proposta dal mio Netflix, stabilisce subito un tono sbagliato per l’intera stagione: il soggetto in sé, tratto da un racconto di Alastair Reynolds, è un ottimo materiale di partenza, ma viene rovinato dalle scelte di rappresentazione fatte da Gelatt. Pur restando abbastanza fedele alle svolte di trama di Reynolds, il corto le semplifica, appiattendone i risvolti più misteriosi e affascinanti. Il protagonista viene caratterizzato unicamente attraverso il machismo (idea di Gelatt, non presente nel racconto), mentre si confronta con una forza identificabile come “femminino cosmico”. Di nuovo, nella fonte questa forza non è malevola, ma nel corto viene invece rappresentata come una mostruosità vorace (a forma di figa, tanto per capirsi), sinonimo di orrore allo stato puro, anche quando viene chiarito che l’essere non ha progetti crudeli per il nostro.

Beyond the Aquila Rift

L’insistenza sull’aspetto mortificante e orrido di una natura aliena, per di più associata a un’entità che si rappresenta come femminile, è un dettaglio importante, che setta il tono sia dell’episodio sia dello show, almeno in questi primi episodi. Avremo quindi un’abbondanza di protagonisti maschili e di corpi femminili appesi e/o denudati; e i credit finali chiariscono una progettazione dei corti davvero poco inclusiva. Sembra incredibile che uno show di fantascienza prodotto per Netflix nel 2019 abbia problemi di questo tipo, e risulta ancora più assurdo tenendo in considerazione le intenzioni innovative del format stesso. Purtroppo, fin qui sembra una serie inequivocabilmente sessista. Non per un preciso disegno; ma, come al solito, per l’incapacità di vedere a un palmo dal proprio naso di chi l’ha messa insieme (Miller, con David Fincher).

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Sara Mazzoni
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Written by Sara Mazzoni

Podcast: Attraverso Lo Schermo. Scrivo di cinema e televisione.

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