It’s a Sin, la miniserie di Russell T Davies sull’epidemia di HIV

Dramma queer nella Londra degli anni ’80

Sara Mazzoni
3 min readFeb 8, 2021

It’s a Sin è la nuova miniserie in 5 puntate di Russell T Davies uscita su Channel 4. È un dramma queer ambientato nella Londra anni ’80 che racconta come la comunità gay sia stata aggredita dall’epidemia di HIV nell’indifferenza generale. Se conoscete Davies, sapete che ha una vena di umorismo dark che spesso accosta elementi sinistri ad altri più comedy (pensate alla svolta che c’è in Cucumber, miniserie che parte come una commedia romantica e poi ne fa polpette, come accade ora in Promising Young Woman).

It’s a Sin segue un modello più convenzionale, nel senso che già dal trailer è facile aspettarsi la sua evoluzione. È quella di uno slasher ma in chiave drama: c’è un mostro che fa fuori i personaggi, quando li conosciamo possiamo percepire la morte che cammina vicino a loro. Questo mostro non è solo l’infezione: la malattia uccide, ma la sua letalità è la conseguenza di una cultura della vergogna e dell’ignoranza. Il vero mostro è lo stigma nella vita delle vittime, come viene esplicitamente detto nell’ultimo episodio in uno di quei discorsi di condanna tipici delle opere di Davies, almeno delle più recenti. Nelle sue miniserie infatti spesso troviamo dei monologhi in cui viene espresso il tema morale. L’obiettivo è denunciare un meccanismo discriminatorio che ha fatto parte della storia del suo paese, soprattutto riguardo a come è stata trattata la comunità gay dal punto di vista legislativo — pensate appunto a Cucumber e anche a A Very English Scandal — mentre in Years and Years allarga la stessa dinamica alla persecuzione dei migranti. It’s a Sin ci ricorda un’altra tragedia epidemica del mondo contemporaneo e le sue intersezioni sociali.

Faccio un piccolo inciso su un aspetto che ho trovato eseguito meno bene, anche se la miniserie è pregevole. C’è un personaggio femminile nel cast che presto diventa il punto di vista principale attraverso cui accediamo alla storia. Si tratta di Jill, interpretata da Lydia West. È una carissima amica di questo gruppo di ragazzi gay, divide tutto con loro e assieme formano una vera e propria famiglia. Jill è caratterizzata come un’angelo custode, amorevole senza riserve al punto che la sua dedizione è ogni tanto descritta come inquietante perché tutto nella sua vita sembra ruotare attorno agli amici. Nonostante il personaggio funzioni come co-protagonista, non viene mai chiarito altro della sua identità, se non in funzione dei suoi affetti, i ragazzi con cui vive. Sappiamo solo che fa l’attrice, come il suo migliore amico Richie, non abbiamo elementi sui suoi orientamenti sessuali o romantici, tranne che è affezionatissima a Richie.

Forse più di tutto mi è mancato un linguaggio aromantico/asessuale che descrivesse la loro relazione, qualcosa che penso sia generazionalmente lontanissimo dalla cultura di Davies e nello show si sente molto questa lacuna. Jill alla fine è raccontata come una madre/sorella altruista e angelicata secondo uno schema rigido di caratterizzazione dei personaggi femminili. Quando arriviamo alla fine, ho ancora tantissime domande su di lei che non hanno ricevuto alcuna risposta.

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Written by Sara Mazzoni

Podcast: Attraverso Lo Schermo. Scrivo di cinema e televisione.

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