Il finale di True Detective 3

Una bella chiusura per una stagione buona ma imperfetta

Sara Mazzoni
7 min readFeb 26, 2019

E così, dopo molto penare, o molto godere, o molto meh — dipende da come ci si è vissuti la stagione — ecco Now Am Found, il finale di True Detective 3. Adesso si possono tirare le somme sulla vicenda narrata, anche se era già da diversi episodi che si poteva valutare la stagione in sé: se per 6 ore avete seguito qualcosa che non vi convinceva o che vi è piaciuto moltissimo, il finale non può avere un valore retroattivo. Quella rimarrà la vostra esperienza, anche dopo aver raggiunto il punto di arrivo e intravisto nuove prospettive. Per quanto mi riguarda, è stata una stagione interessante, sulla quale ho qualche riserva, ma che nel complesso non mi è dispiaciuta. Non mi ha entusiasmata, ma non mi ha neanche delusa. Ne ho apprezzato il finale, che ho trovato coerente con l’andamento generale dello show.

OVVIAMENTE SPOILER ALERT

L’inseguimento della verità, durato 8 puntate per noi e 35 anni per i protagonisti, è sovrastato non tanto dall’harvest moon, quanto dalla presenza assente della Laura Palmer della situazione, Julie Purcell. Il suo fantasma diventa sempre più ingombrante a mano a mano che la storia procede, tant’è che arriva a palesarsi, ma sempre in modo sfuggente, fantasmatico: una foto sgranata presa da una telecamera di sicurezza; una voce al telefono; un’impronta digitale. Sono tracce di un corpo che non appare mai fino alla fine. Quando in Now Am Found finalmente vediamo il contenuto della stanza rosa, anche qui ci sono solo tracce: i disegni di una bambina sulla parete, dove lei stessa si rappresenta con un nome che non è il suo.

Il finale di stagione è l’affermazione di questo essere inafferrabile. Un mistero assillante viene risolto attraverso il racconto, e non la testimonianza diretta dei protagonisti — in contrapposizione al finale della prima stagione, in cui l’eroe si scontrava con il mostro. Cos’è successo a Julie ce lo racconta Mr June nel 2015, come una fiaba; dobbiamo prendere per buone le sue parole, perché di tangibile c’è poco: è vero, la stanza esiste, l’avevamo già vista nel 1990, la rivediamo ora con Wayne e Roland. Ma non c’è altro, se non questa traccia, e le parole del vecchio. Evoca Isabel Hoyt, la causa della sparizione dei bambini. Isabel non è mai un personaggio presente, quasi come Julie, ma un’ombra sinistra, un fantasma gotico degno di Henry James e di Hill House. Di nuovo come Julie, pur avendo un’importanza capitale, di lei sono rimaste solo una leggenda e una traccia di pastello sul muro.

Ma come, dite voi, ma Julie in questo finale diventa finalmente carne. Sì, però, attenzione: ancora una volta, Julie è evocata e raccontata dalla fantasia di qualcun altro. Addirittura per interposto fantasma — e non persona — quando la defunta Amelia convince il marito a indagare ancora. Inizia così il viaggio di Wayne in quella campagna piena di fiori, per ritrovare Julie Purcell. Gli indizi non ci sono, c’è soltanto una storia che Wayne ha immaginato aggrappandosi alla speranza evocata dall’ennesimo simulacro di Julie Purcell: quella bambina di nome Lucy (come la madre di Julie), che somiglia così tanto alla ragazzina scomparsa nel 1980 da convincerlo a seguire questa pista. La memoria di Wayne ancora una volta cede, lasciandolo sperduto davanti alla donna che potrebbe essere Julie e alla figlia; e anche se per un attimo lui sembra ricordarsi la ragione del viaggio, l’unico finale possibile è quello dell’incertezza. Era davvero Julie Purcell, la donna bionda in quel bel giardino? O era Wayne a volere che fosse lei, con la sua fantasia di una Julie letteralmente in un posto migliore? Il finale non vuole chiarirlo, ed è giusto così: tutto quello che abbiamo visto, riguardo a questo caso, è labile, popolato di fantasmi, di tracce e di assenze.

Infatti, il punto di arrivo di Wayne non è la soluzione del caso (persino i personaggi commentano che non c’è una vera closure, con la scoperta della stanza rosa e della “verità”), ma una pace ritrovata con la sua famiglia e con il partner Roland. Il finale spazza via le varie false piste seminate per tutta la stagione: la figlia Rebecca sta bene, non c’è niente di strano tra lei e il padre; Roland è lì con loro, in pace, mentre Wayne gioca coi nipoti. La sensazione è la stessa del bel giardino in cui una donna che forse è Julie pianta i fiori con la figlia: un nirvana, un eden, un posto migliore, che risulta quasi posticcio rispetto all’umore tetro dell’intera stagione. E infatti, dura poco: Wayne è risucchiato ancora una volta dal vortice della sua memoria (e del tempo), che lo porta prima da Amelia, e poi nella giungla vietnamita, su cui la stagione chiude. Insomma, non c’è pace possibile, né verità definitiva, solo qualche breve momento di felicità nel flusso angosciante dell’esistenza.

Per me, questo finale è stato una bella chiusura per una stagione imperfetta. I difetti che ho riscontrato sono probabilmente impossibili da eliminare senza distruggere l’equilibrio della stagione: la presenza di innumerevoli false piste è il motore che manda avanti tutta la vicenda senza renderla scontata o stucchevole. D’altra parte, come avevo già accennato, indizi e false piste sono spesso sostenuti da scene meccaniche, che annacquano il racconto senza aggiungere nulla né alla storia, né alla caratterizzazione dei personaggi. Se i red herring fossero stati progettati più armonicamente per integrarsi al quadro generale facendo emergere una nuova figura, non mi avrebbero disturbata di per sé, anzi; ma spesso i pezzi del puzzle narrativo non combaciano o non significano niente, sono occasioni sprecate.

È un punto di forza l’aver intrecciato la vicenda familiare di Wayne con il caso Purcell; anche se non sempre il parallelo ha funzionato alla perfezione. Quello che esce alla fine è il ritratto di un matrimonio difficile ma duraturo, e di un protagonista a tratti respingente nel suo essere sgradevole con la moglie. Pizzolatto ha parlato di scene tagliate dal finale che avrebbero chiarito alcuni dettagli della trama, che sono stati invece elisi: la morte di Amelia, il rapporto con la figlia Becca. Tutto sommato, l’equilibrio funziona anche così, ma i tagli rendono ancora più evidente l’abbondanza di sottotrame create con l’esclusivo scopo di depistare: chiuderle avrebbe dato un senso alla loro presenza, ma evidentemente questo senso non c’era: è questo per me il difetto principale della stagione 3 di True Detective. Anche nel finale si nota l’arrivo di una nuova timeline, che però risulta monca a causa di questi tagli (quella in cui Wayne guarda Amelia in classe, circa negli anni 2000). Insomma, si intravede una certa intenzione, ma non è mai pienamente realizzata sullo schermo.

La storia personale di Roland rimane non del tutto chiarita, con la scena nel bar dei motociclisti che può essere letta in due modi diversi: Roland disperato per aver perso un amico, Tom Purcell, oppure Roland disperato perché tra lui e Tom c’era di più. Che Roland fosse gay o no tutto sommato non sposta di molto l’arco della sua storia, anche se spiegherebbe alcune cose che rimangono nebulose; ma per Pizzolatto sembra inconcepibile. Sempre stando alle dichiarazioni dell’autore, il finale avrebbe dovuto essere un po’ meno sospeso, con Henry che indaga sul biglietto che gli ha consegnato Wayne davanti alla casa di Forse Julie. Però alla fine è stato montato in questo modo, e, nonostante le sue intenzioni, quello che passa è un’altra cosa— per fortuna.

Considerazioni sparse:

  • Ottime le interpretazioni, con Stephen Dorff che alla fine ruba la scena a tutti.
  • Menzione d’onore per Michael Rooker: dopo averlo atteso così tanto, Mr Hoyt non poteva di certo essere interpretato da un attore qualunque.
  • La stanza rosa ricorda non poco la cameretta sotterranea di Dark.
  • L’invecchiamento prostetico dei personaggi è stato più che dignitoso, a differenza di molte altre serie (vero This Is Us?).
  • Sempre belli i momenti “Old Detective” in cui i due anzianotti vanno in giro a indagare con passo malfermo e Wayne perde colpi.
  • Sulla tomba di Mary Julie c’è scritto “That I give aid to the lost”; quando Wayne ha il suo blackout nel finale, dice alla donna bionda di essersi perduto, e lei lo aiuta.
  • Quanto è stronzo un marito che si rifiuta di leggere i libri della moglie?
  • Un po’ strano che la stanza rosa nella casa degli Hoyt non sia stata smantellata per coprire le tracce dei misfatti…
  • Pizzolatto risponde a qualsiasi domanda dei fan dicendo che la spiegazione era in una scena tagliata. Qui il commento migliore sulla sua abitudine: Pizzolatto’s crazy idea for season 4: The season unfolds primarily in the comment stream of his Instagram page. The scenes filmed for HBO will simply be a gloss on the comment stream’s primary text.

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Written by Sara Mazzoni

Podcast: Attraverso Lo Schermo. Scrivo di cinema e televisione.

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