House of the Dragon, il primo episodio

La prima stagione dello spin-off di Game of Thrones per HBO

Sara Mazzoni
12 min readSep 1, 2022

Questo articolo su House of the Dragon esiste anche in formato audio per il podcast Attraverso Lo Schermo. Lo trovate su tutte le piattaforme principali.

Da dove vi parlo, quando vi parlo di questa nuova serie tv? Senza dubbio, il mio punto di vista è quello di “fan di Game of Thrones”, che ha letto i libri e amato lo show. Ritengo che Game of Thrones abbia segnato tutto il periodo degli anni Dieci, influenzando la televisione contemporanea come poche altre serie sono riuscite a fare.

Togliamoci subito dall’imbarazzo: Game of Thrones non è stata una serie perfetta; contiene alcuni elementi discutibili, sessisti e razzisti, già riconoscibili a suo tempo, e che oggi saltano ancora di più all’occhio.

La sua ottava stagione è stata giustamente criticata per come ha chiuso in maniera sbrigativa una storia monumentale. Il problema non è se Daenerys Targaryen diventa cattiva; il problema è come questa parte di storia viene raccontata. Personalmente, credo che sia ammissibile trasformare Daenerys nel mostro finale (le tracce di questo sono presenti in tutta la storia, sia quella scritta da George R.R. Martin, sia quella progettata dalla serie HBO).

Trovo però corretto criticare la struttura narrativa di un prodotto seriale, qualora delle scelte pigre e sommarie di scrittura e progettazione facciano sentire il pubblico preso in giro. Questo, a mio avviso, è ciò che è accaduto con l’ottava stagione. Non significa che Game of Thrones sia retroattivamente una serie brutta e tutta scritta male. Per me, riguardarla è ancora un po’ come tornare a casa, tant’è che ne sto facendo un rewatch proprio adesso.

Ecco, torniamo al presente, al 2022. La HBO finalmente ci consegna il primo spin-off dell’universo espanso di Westeros. House of the Dragon è un prequel ambientato circa 180 anni prima degli eventi di Game of Thrones. È basato sul libro di George R.R. Martin Fuoco e sangue, che non è un romanzo come quelli che formavano Le cronache del ghiaccio e del fuoco, i capitoli del Trono di Spade. Fuoco e sangue è un librone di storia di Westeros. Nello specifico, racconta per 800 pagine una parte della storia della famiglia Targaryen, cioè gli antenati di Daenerys Stormborn, la Madre dei Draghi.

Insomma, questa serie è l’adattamento di un libro di “storia immaginaria”, di fatti raccontati in forma non romanzesca, ma più come un ciclo mitologico che a tratti diventa molto compilativo, e a tratti invece intrattiene come un bel racconto avventuroso. Cosa significa in termini televisivi? Che a differenza di Game of Thrones, House of the Dragon è una serie che deve inventare tutti i dettagli e i singoli punti di vista dei personaggi, perché il materiale originale è piuttosto vago.

Il libro presenta tutti i plot point, cioè gli snodi di trama fondamentali per costruire una storia; ma le psicologie dei personaggi, le loro motivazioni più intime, il modo in cui realizzano i propri progetti non sono definiti con precisione. Manca quello che in Game of Thrones arrivava già fatto: cioè la costruzione narrativa vera e propria, che gli autori poi avevano semmai dovuto sintetizzare, riadattandola al formato tv. In questo caso, il lavoro è l’opposto: dai sommari di eventi descritti da Martin, bisogna tirare fuori una vera storia a puntate, con tutte le sue sfumature.

Chi se ne occupa in House of the Dragon? Bè, in parte lo stesso George R.R. Martin, che questa volta è uno dei due creatori dello show. L’altro è lo sceneggiatore Ryan Condal, che per ora non ha un curriculum particolarmente interessante. La sua esperienza di maggiore rilievo è stata quella di creatore e showrunner nella serie Colony, assieme al veterano di Lost Carlton Cuse.

Gli showrunner sono quelli che mandano avanti tutta la progettazione narrativa della serie. In House of the Dragon, sono lo stesso Condal e Miguel Sapochnik. Quest’ultimo, Sapochnik, lo conoscete già proprio da Game of Thrones: è stato il regista di alcuni degli episodi di battaglia più memorabili dell’intera serie. Per esempio, ha girato lui Battle of the Bastards, la puntata in cui Jon Snow affronta il cattivissimo Ramsey Bolton. A mio parere, è un esempio perfetto di televisione action.

Sapochnik ha diretto anche altri episodi molto famosi, come Hardhome, la puntata oltre barriera in cui il Night King trasforma in zombi un’intera cittadina di Wildlings. Nell’ottava stagione, Sapochnik ha diretto The Bells e The Long Night; quest’ultimo è il famigerato episodio guerresco di cui si dice che non si riuscisse a vedere proprio nulla perché era troppo buio. Il mio consiglio, oggi come allora, è di guardare queste serie tv di sera, con le luci spente, così ve le potete godere come si deve. Se le volete per forza guardare di giorno, fatelo; ma tirate giù la tapparella. Vi autorizzo io.

La regia di Sapochnik si fa riconoscere anche in questo primo episodio, specialmente nelle scene che più gli sono congeniali come quelle movimentate e violente del torneo. Sapochnik non è noto come scrittore; per cui, vedremo cosa sapranno combinare lui e Condal sul fronte della storia.

Come sapete, le serie tv normalmente non sono scritte come un romanzo, da una persona sola. C’è invece quella che si chiama “writer’s room”, ovvero un gruppo di persone che progettano la storia e poi scrivono i soggetti e le sceneggiature delle singole puntate seguendo le indicazioni di showrunner e head writers. C’è un gruppo, c’è una gerarchia; poi ci sono gli individui che scrivono i copioni, seguendo indicazioni precise prese dopo discussioni collettive.

Il primo episodio di House of the Dragon l’ha scritto Condal, uno degli showrunner. Nel corso della stagione, dovremmo vedere anche episodi scritti e diretti da donne, un elemento che se confermato, sarebbe un po’ una novità in questo universo narrativo.

In Game of Thrones quasi tutto era scritto e diretto da uomini. Solo 4 episodi in totale erano stati affidati a donne, le sceneggiatrici Jane Espenson, che ricorderete da Buffy The Vampire Slayer, e Vanessa Taylor. Della writer’s room di House of the Dragon si sa che dovrebbe essere composta in maniera più mista rispetto al passato: per esempio, non ci saranno più solo uomini bianchi, ma anche molte altre categorie umane.

In un’intervista del 2 agosto con Vanity Fair, la produttrice esecutiva Sarah Hess ha parlato del fatto che House of the Dragon dovrebbe sfoggiare una sensibilità un po’ diversa rispetto a quella più greve di Game of Thrones. Hess ci rassicura sul fatto che la nuova serie non mostrerà in maniera cruda scene di violenza sessuale, come invece faceva a volte Game of Thrones. Hess ha detto a Vanity Fair che la stagione tratterà un evento di violenza sessuale, ma lo farà off screen, senza farla vedere.

Sarah Hess secondo me, in questa fase, ha dovuto un po’ assumere un ruolo da token di rappresentanza: cioè la sua figura di donna serve a rafforzare l’immagine pubblica di uno show che dovrebbe avere imparato dagli errori dei predecessori, ma senza necessariamente rimettere proprio tutto in discussione.

Anche perché l’universo di Game of Thrones non potrà mai essere privo di violenza, perché verrebbe meno uno dei suoi elementi fondamentali. Ci saranno sempre sequenze truci finalizzate a sconvolgerci. Nessun innocente sarà mai al sicuro. House of the Dragon si dovrà muovere con attenzione su un filo davvero sottile, come fa già in questa prima puntata.

L’episodio si intitola The Heirs of the Dragon, gli eredi del drago, e affronta subito alcuni temi legati all’oppressione patriarcale. Si potrebbe dire che l’intera trama ruoti attorno a questo discorso. La storia infatti è quella di una successione impossibile, di una guerra civile tra Targaryen in assenza di un erede univoco, un figlio maschio del re.

L’assenza di questo figlio si presenta non una, ma due volte nella puntata. La prima è nel prologo, quando ci viene mostrato l’inizio del regno attuale. Viserys viene nominato re da un concilio di lord che scavalca in linea di successione la povera Rhaenys, erede diretta considerata inadeguata in quanto femmina.

Viserys regnerà ossessionato dall’idea di generare un figlio maschio, che però non arriva mai nonostante le terribili prove a cui sia sottoposta la regina Aemma. Il re per lungo tempo rifiuta di prendere in considerazione la sua unica erede Rhaenyra proprio perché femmina. La nominerà lo stesso, alla fine della puntata, non essendogli rimasta altra scelta.

Il nucleo dell’episodio è proprio in questa successione maschile impossibile. Non è un caso che si intitoli proprio Gli eredi del drago. I primi minuti non sono tra i più promettenti: c’è tanta esposizione, perché ci devono spiegare in poco tempo una complicata situazione politica. La scrittura non è delle più brillanti, finché non si entra nel cuore drammatico della serie. E qui torniamo alla violenza che aveva tanto caratterizzato Game of Thrones, nel bene come nel male, e la vediamo rispuntare shoccante e traumatica proprio come ai vecchi tempi.

Nonostante ne abbiamo viste di tutte i colori, House of the Dragon trova lo stesso il suo modo per impressionarci con la terribile vicenda della regina Aemma e del suo parto cesareo per nulla consensuale.

“Abbiamo ventri regali”, dice Aemma alla figlia Rhaenyra avvisandola del fatto che il suo dovere di principessa sarà sfornare eredi al trono. “Quello è il nostro campo di battaglia”, le dice. Purtroppo per Aemma, quelle parole si riveleranno presto tragicamente vere. La regina viene squartata viva da coloro che la dovrebbero curare, mentre il re la tiene ferma perché l’erede maschio possa essere estratto dalla pancia regale di Aemma. La regina non sopravviverà, ma ha compiuto il suo dovere. Il maschio ha visto la luce, anche se solo per un giorno. I due cadaveri vengono bruciati dal drago Syrax sulla pira funebre, secondo un rituale Targaryen che vedremo ancora parecchie volte nel corso della serie.

È una vicenda turpe, come nella miglior tradizione di Game of Thrones. C’è il sangue, e c’è anche il fuoco; c’è la fiducia tradita; c’è l’orrore nello sguardo dei personaggi coinvolti. C’è anche la violenza patriarcale evocata nell’intervista di Sarah Hess. E c’è il solito effetto shoccante che attira critiche e scalda gli animi. Insomma, è tutto come una volta. E secondo me, funziona ancora.

Infatti, un buon filo conduttore per analizzare questo pilot è prendere nota di quali siano le similitudini con Game of Thrones e quali le radicali differenze. Una che salta subito all’occhio, è la quasi totale scomparsa di quell’umorismo nero che caratterizzava la serie originale. In House of the Dragon, lo stile si fa nettamente più tetro.

Possiamo tracciare un parallelo tra la scena di giustizia sommaria in cui vediamo Daemon Targayen in azione con la guardia cittadina e un evento molto simile descritto nella seconda stagione di Game of Thrones.

Il ruolo di Daemon è lo stesso che all’epoca era affidato a Bronn, lo sgherro di Tyrion Lannister che fungeva spesso da linea comica. Prima dell’assedio di Stannis Baratheon ad Approdo del Re, Bronn assieme alla guardia cittadina fa una cosa molto simile a quella che vediamo fare a Daemon nel pilot, quando uccide e fa a pezzi ladri e assassini nei bassifondi della città.

Game of Thrones non mostrava l’avvenimento, ma lo faceva raccontare in maniera sarcastica a Bronn; la tetraggine sfumava sullo sfondo, lasciando l’idea della letalità di Bronn ma anche della sua efficacia come spietato tagliagole. La motivazione fornita da Bronn per la carneficina era esattamente la stessa che Daemon offre al concilio infuriato con lui, la mattina dopo: visto che presto si terrà un torneo ad Approdo del Re, per ragioni di sicurezza è meglio liberarsi degli elementi pericolosi. Ovviamente, senza nessuna pietà.

L’unica differenza rispetto alla versione di Bronn è che lui si preoccupava per il futuro della città sotto assedio, ma il concetto non cambia. Sempre di violenza e giustizia sommaria si tratta. La scelta narrativa però è molto diversa qui, in House of the Dragon, dove un clima crepuscolare investe ogni singolo frammento della storia.

Il massacro serve a caratterizzare Daemon, a mostrarne da subito un’indole feroce e autodistruttiva. I fiumi di sangue che ne conseguono ci riportano al clima classico di Game of Thrones, in cui accadevano spesso le stesse cose. Nella prima stagione, le guardie del re compivano una strage di bambini, compreso l’omicidio di una neonata da parte dell’orrido Janos Slynt, mostrato in maniera estremamente cruda.

Quella di oggi è sia una somiglianza, sia una differenza. Lo humor se ne è andato, gli atti più brutali sono commessi dagli stessi protagonisti, e non solo da antagonisti e personaggi secondari. House of the Dragon si prospetta come una serie in cui non esiste alcun eroismo privo di ombre. Non ci sarà un Jon Snow o una famiglia Stark.

La sigla di testa del pilot non rimanda alla lunga e impegnativa animazione di Game of Thrones. Se ne distanzia con una sintetica presentazione dello stemma dei Targaryen su sfondo nero, con poche note musicali ad accompagnarlo tra i boati dei tamburi di guerra. Bisognerà aspettare la seconda puntata per capire se i titoli di testa saranno sempre così scarni, o se la scelta dipendeva qui dalle esigenze narrative del prologo. Se devo sbilanciarmi, mi sembra un po’ sospetto che non appaia nemmeno il titolo dello show.

In ogni caso, resta riconoscibilissima l’impronta del compositore Ramin Djawadi, autore delle musiche del Trono di spade. Si nota soprattutto nella sequenza finale, in cui il tema intitolato The Prince that was Promised sottolinea ironicamente la nomina a erede della principessa Rhaenyra. Djawadi costruisce un brano che richiama sia il suo lavoro con la serie originale, sia lo stile che adottava nelle musiche di Westworld, di cui riprende l’uso del pianoforte. Chiude il movimento con una citazione esplicita del tema della sigla di Game of Thrones, che viene poi riproposta in una nuova versione cantata sui titoli di coda.

I costumi, il set design e la fotografia ricordano Game of Thrones, anche se la CGI a tratti mi è risultata non del tutto perfetta, a differenza di altri dettagli. Qualcosa non torna nell’uso della luce, qui e là l’effetto generato ricorda troppo l’estetica da realtà virtuale cheap, specialmente nelle architetture. Il design dei draghi è bello, ma l’animazione non è sempre fluida, forse perché essendocene molti di più rispetto alla serie originale, è più costoso gestirli.

Dal punto di vista visuale, sono i costumi a vincere su tutto. Caratterizzano i personaggi e raccontano una storia nella storia: osservate la divisione tra chi è vestito di nero e rosso, colori dei Targaryen, e chi è vestito di verde, colore degli Hightower. Questa distinzione cromatica diventerà sempre più importante nello sviluppo della storia. La potete seguire già da questo pilot.

Il verde ce lo ricordiamo come un colore mortifero in Game of Thrones. Il verde era il colore dell’altofuoco, lo strumento di morte inventato dai Targaryen quando rimangono senza draghi, ereditato dalla perfida Cersei che lo usa per bombardare i nemici e far esplodere il tempio della città. Insomma, il verde degli Hightower non promette nulla di buono, ma in un certo senso nemmeno il rosso e il nero dei Targaryen lo fa.

Il riferimento visivo a Game of Thrones più d’impatto è senza dubbio quello che osserviamo nella seconda scena, quando una ragazza bionda scende dal dorso di un drago. Si tratta della principessa Rhaenyra, volutamente proposta in quella prima inquadratura come una controfigura di Daenerys: è vestita come lei, ha gli stessi capelli, la stessa forma fisica. Ma quando si volta è la nuova protagonista, non quella vecchia. L’interpretazione di Milly Alcock lo garantisce.

Se avete visto il trailer, sapete già che Alcock non resterà con noi fino alla fine della stagione. House of the Dragon adotta un espediente simile a quello di un’altra serie HBO: L’amica geniale. Le amiche qui sono Rhaenyra e Alicent, che più avanti ritroveremo adulte e interpretate da altre attrici. Già nel prologo, sentiamo la voce di una Rhaenyra più vecchia, proprio come nella serie adattata dai libri di Elena Ferrante. C’è parecchio da dire sulle interessantissime scelte di casting di House of the Dragon, ma lascerei alcuni argomenti ai prossimi episodi.

Come ultima nota di oggi, osserverei che in House of the Dragon ci viene subito consegnata un po’ di queerness sottotraccia. Il rapporto tra Rhaenyra e Alicent sembra codificato romanticamente, ma ciò non viene reso del tutto esplicito. Mi incuriosisce vedere come sarà gestito questo aspetto della relazione andando avanti.

Ma per oggi, è tutto. Vedremo cosa ci riserveranno le prossime puntate di House of the Dragon.

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Sara Mazzoni
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Written by Sara Mazzoni

Podcast: Attraverso Lo Schermo. Scrivo di cinema e televisione.

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