Hereditary, potenziale horror dell’anno
L’esordio di Ari Aster, già autore di cortometraggi malati
Avevo aspettative altissime per Hereditary, film d’esordio di Ari Aster, un autore che già da anni scrive e dirige cortometraggi a metà tra commedia nera, grottesco e horror. Il più significativo è The Strange Thing About the Johnsons, che dà una nuova sfumatura all’aggettivo “malato”.
Dopo aver guardato tutti i suoi corti, ero preparata a tutto. Le aspettative fanno la differenza, nella fruizione di un film. Chi va in una multisala alla fine di luglio per vedere un horror a caso può rimanere spiazzato quando trova uno di quei film che si possono definire “art-house”, genere di cui Hereditary fa sicuramente parte.
Esce col bollino A24, compagnia specializzata nella distribuzione di film indipendenti che mirano a distinguersi (qui la filmografia completa). I loro horror più recenti sono lontani dalle convenzioni del B-movie estivo: A Ghost Story non lo si può nemmeno definire film dell’orrore; It Comes at Night è un dramma psicologico in una terra post-apocalittica; The Witch parla di una famiglia di pellegrini, con dialoghi stralciati da documenti del ’600. Ve lo dico per darvi un’idea precisa del contesto da cui viene fuori questo film, che è terrorizzante ma è anche tante altre cose per niente scontate. Lo definirei un cugino più esplicitamente horror di un film come The Killing of a Sacred Deer, anch’esso distribuito da A24 negli USA.
In Hereditary, le parti horror si alternano a momenti di dramma familiare, in cui i personaggi annaspano nelle loro derive sempre più psicotiche. È un film dove la gente urla parecchio; di terrore, sì, ma anche di dolore e di disperazione. C’è un clima mefitico fin dal primo istante, rimarcato per tutto il film dai dettagli. Qualsiasi cosa facciano i personaggi, qualsiasi oggetto sia in scena, la sensazione è che ci sia qualcosa di sinistro, qualcosa fuori posto.
Il cast è meraviglioso: Toni Collette (quasi sosia di Sissy Spacek), Gabriel Byrne, Ann Dowd (quando arriva lei, sai che sono cazzi) e i giovani Alex Wolff e Milly Shapiro. Purtroppo sono assassinati dal doppiaggio italiano (preparatevi al peggio), ma nonostante questo vi devo comunque raccomandare di vedere il film al cinema: l’esperienza immersiva della sala in questo caso è l’unico modo per godere al massimo del suo potenziale, senza perdere una delle sue caratteristiche più inquietanti: il suono. Al di là dell’ottima colonna sonora, in Hereditary c’è un lavoro straordinario di sound design, che con l’impianto delle multisale restituisce la spazialità del suono. Si crea nel pubblico una condizione psicologica ben più stressante rispetto alla visione dell’orrore relegato dietro allo schermo, nella sicurezza del divano di casa. Le distanze sono azzerate, l’incubo diventa reale.
Come dice il sound-editor Lewis Goldstein, Aster non voleva che il film suonasse come un tipico horror. Non aspettatevi quei frastuoni improvvisi buttati lì per farvi venire un infarto. Il film è molto più spaventoso di così, proprio perché usa il concetto di jump scare in modo raffinato, sfruttando il rapporto tra suono, immagine e tensione narrativa. Anzi, si potrebbe dire che in Hereditary ci sia un solo jump scare convenzionale, mentre tutti gli altri momenti di paura funzionano secondo regole diverse, più sottili.
Hereditary si è fatto la reputazione di un film terrorizzante e la mia esperienza lo conferma. Vorrei però evitare di creare quel tipo di aspettativa che si può solo deludere. Aster usa la grammatica horror mostrando grande competenza, fissando alcuni elementi classici, attorno ai quali però costruisce un film obliquo, che scarta continuamente in nuove direzioni. C’è un bilanciamento ritmico tra momenti dilatati, in cui i protagonisti ruotano attorno a un orrore che non è metafisico (l’angoscia del lutto), e le parti in cui tutto prende una piega prima grottesca e poi semplicemente terrificante. Andate a vederlo con la predisposizione a tempi lunghi e paure striscianti, uscite infartati.
L’horror è un genere che rende sempre molto di più al cinema, purtroppo da noi esce solo una piccola parte di quei film che varrebbe la pena godersi in sala, e sono sempre appiattiti dal doppiaggio. Ma l’esperienza della sala rimane fondamentale. Non so se capita anche a voi, ma avete presente quel momento in cui il film è finito, tutti sono usciti e ti devi fermare davanti alla porta del bagno ad aspettare qualcuno che tarda a uscire?Ieri sera ero ancora così immersa nell’atmosfera del film che dopo un po’ ho iniziato a guardarmi intorno nervosamente. A quel punto ho notato che non c’era più nessuno, le luci erano basse e non ero nemmeno in grado di stabilire da che direzione ero arrivata, perché i corridoi annessi alle sale dei cinema The Space sono simmetrici. Alla mie spalle ho cominciato a sentire un ronzio, sempre più alto e sordo, che cresceva oltre le porte. Dalla loro fessura trapelava una luce irreale, verdastra, e per un attimo non ho saputo cosa fare. C’era qualcosa che stava venendo a prendermi?