Film Horror 2019

Uscite horror di quest’anno, quello che ho visto fin qua

Sara Mazzoni
13 min readAug 3, 2019

Se vi state chiedendo come vada il cinema horror quest’anno, vi posso confermare che il genere appare ancora in salute ed è uscita un sacco di roba. Molti sono titoli interessanti, altri meno. Non li ho visti tutti (ho in serbo per i prossimi giorni una rassegna di film davvero promettenti che ancora mancano al mio catalogo), ma intanto vi parlo brevemente dei film horror 2019 che ho avuto modo di guardare fin qua. In mezzo ci sono anche cose datate 2018, ma che hanno avuto una distribuzione capillare quest’anno, quindi non puntatemi contro il vostro ditino correttore, ma usatelo per scrollare oltre. Suspiria di Luca Guadagnino invece lo ometto perché ne ho già parlato nella classifica dei migliori horror del 2018, benché sia è uscito in sala a gennaio. Alcuni titoli tra i seguenti li ho trovati anche grazie alle segnalazioni dell’ottimo blog Il giorno degli zombi, che vi consiglio di consultare. Se volete seguire le mie visioni in tempo reale, qui c’è il mio profilo Letterboxd, dove segno tutto così non mi dimentico più nulla.

Midsommar

di Ari Aster

Del film ho parlato diffusamente in questa recensione. A me Ari Aster piace molto e trovo pretestuose le critiche che lo vogliono a tutti costi archiviare come regista “hipster” che si crede chissà che. Guardando e riguardando i suoi cortometraggi e film, io continuo a trovarlo interessante, pieno di idee e competente nella materia horror, che sa manipolare perché la conosce bene e la rispetta. Poi sì, è tutto stilosissimo, il reparto artistico è curato al massimo: questo è un problema? No, perché non va bene niente, mai. Figurarsi quando un film art-house diventa popolare.

Border

di Ali Abbasi

Vincitore della sezione Un Certain Regard di Cannes 2018, il film riprende un racconto di John Ajvide Lindqvist, autore del romanzo da cui è tratto Lasciami entrare. Lo scrittore partecipa alla sceneggiatura insieme allo stesso Abbasi e a Isabella Eklöf, regista di un altro film recente, Holiday, ancora più strano e peso. Border è un film decisamente weird, sia nel senso letterario, sia per la sua surrealtà. Non è propriamente un film di paura, anche se le sue atmosfere si fanno spesso cupe e c’è una sottotrama da giallo scandinavo inquietante. Questi elementi si mescolano a quelli fiabeschi ricontestualizzati in un universo narrativo ordinario, con una particolare cifra di realismo magico sornione e dark. Risultato molto interessante.

I Trapped the Devil

di Josh Lobo

Piccolo film indipendente senza budget che riesce lo stesso a essere ipnotico. Tetra ambientazione domestica, discesa agli inferi dal tono lisergico senza che ci sia chissà quale abuso di effetti speciali. Si fa notare per la semplicità con cui ottiene il risultato, per come sa turbare con la presenza-assenza malefica che infesta il suo racconto. L’arco narrativo in sé è scarno e si poteva scrivere meglio, ma il film affascina lo stesso. Notevoli anche le musiche, che contribuiscono alla riuscita generale.

Lords of Chaos

di Jonas Åkerlund

Storia true crime girata con tratti da black comedy che sconfina nell’horror con una rappresentazione cruda della violenza. Mi è piaciuto moltissimo. La vicenda è quella del True Norwegian Black Metal e di Burzum. Il protagonista è Euronymus che ci spiega com’è che ha fatto la fine che ha fatto, interpretato da Rory Culkin — a questo punto, il mio preferito della dinastia di facce da delinquente sfigato Culkin. Il film è soprattutto una storia di vanità, quella di un peccatore che viene punito dalla mostruosità del demone che finisce per evocare; ma è anche una presa per il culo dei black metallari in questione. Potete riconoscere la beffa fin dalle scelte di casting, principalmente da quella che fa sì che Burzum sia interpretato da Emory Cohen, l’Homer di The OA. Åkerlund è caustico e furbo, e non si fa scappare l’occasione di mostrare una dose abbondante di chiese in fiamme. Strano pensare che alla fine questa roba sia anche un biopic rock.

Lifechanger

di Justin McConnell

Quanto sono più intriganti le storie horror se raccontate dal punto di vista del mostro? Questo è un buon esempio. La creatura protagonista è un mutaforme assassino, personaggio poco visto al cinema, che però in questo caso riprende in toto il concept alla base del ciclo letterario dei Patternisti di Octavia Butler (consiglio soprattutto il primo libro, Seme selvaggio; intanto spero che l’adattamento tv affidato a Nnedi Okorafor veda davvero la luce). Lifechanger non ha lo stesso spessore, ma fa comunque un lavoro dignitoso, affrontando la vicenda in modo spiritoso ma pur sempre orrifico. A differenza di molti altri indie, qui la colonna sonora c’è e si sente, per fortuna — ho scoperto che mi annoio guardando i film poveri di musiche. Unico problema della sceneggiatura è l’assenza di un antagonista incarnato, che avrebbe reso meno vaga la parte centrale del film. È lo stesso molto godibile.

You Might Be the Killer

di Brett Simmons

Slasher meta, tutto costruito come una commedia horror che scherza sui tropi del genere. La sua origine è fuori dal comune: il soggetto parte da un thread su Twitter. A dirlo così, ci si può aspettare una cazzata, invece il film funziona benissimo. Montaggio ritmato, gag divertenti, attori whedoniani amabili come Fran Kranz e Alyson Hannigan. Non va visto pensando alla magniloquenza di Cabin in the Woods, ma alla sagacia che riesce a tenere insieme una produzione microscopica come questa — che è comunque mille volte migliore rispetto a roba tipo The Final Girls.

The Cleaning Lady

di Jon Knautz

Opera interessante e capace di turbare, ma coi suoi difetti. La storia è costruita attorno al cliché del villain dal volto sfigurato, in questo caso una ragazza; quest’immagine si sovrappone a quella dell’amicizia horror tra donne, con una protagonista bella e infelice. Inutile dire che entrambi i cliché vanno a finire in modo convenzionale. Il film è un po’ troppo di exploitation per rendere credibili le intenzioni più drammatiche, sfoderate qui e là, e purtroppo finisce per riconfermare l’equazione per cui la persona dall’aspetto non conforme è realmente un mostro. Nonostante ciò, non è un film da buttare per come riesce a costruire il suo mondo e a creare tensione e preoccupazione per i suoi personaggi. L’ultimo atto è violentissimo, come è intuibile dato il prologo del film, mentre tutta la parte centrale è giocata sulla suspense.

Climax

di Gaspar Noé

Film divisivo che a me è piaciuto molto. Visualmente spettacolare nel suo concentrarsi su corpo e movimento, è al tempo stesso un’opera di danza contemporanea e un film dell’orrore. La parte coreografica è incredibilmente espressiva. La storia finisce per ritrarre un rito dionisiaco con una compagnia di ballo a fare la parte delle moderne baccanti. Potrebbe essere un manifesto contro la droga (non lo è), contro la vita, contro la società, contro la maternità, contro la sanità mentale. Racconta il mondo come un luogo perverso e violento dove gli umani sono vermi impazziti. Il film avrebbe potuto cedere di più al torture porn e sono contenta che non l’abbia fatto: il suo senso della misura rende più efficace ciò a cui si assiste. Stellina bonus perché è corto.

High Life

di Claire Denis

Misto di fantascienza e orrore esistenziale, contiene un’astronave, un Robert Pattinson ragazzo padre, una Mia Goth furiosa e soprattutto una Juliette Binoche scienziata pazza. Il film è un’odissea nello spazio erotica ma soprattutto tetra, che parla di libertà e riproduzione senza essere un film a tesi. Se proprio c’è un’ideale di fondo, riguarda l’insensatezza della vita nel cosmo. È un gran bel viaggio, uno dei film migliori usciti all’estero nel 2018, resosi disponibile da noi quest’anno con mezzi homevideo.

The Wind

di Emma Tammi

Folk horror western, storia di paranoia e demoni, racconto claustrofobico e agorafobico in costume fatto di casette di legno, spazi aperti e solitudine da pioneri. A tratti un po’ contorto nel suo incastro di presente e flashback, ma comunque ben scritto e realizzato con sobria austerità da festival. Uno dei titoli più meritevoli tra gli indie horror imboscati del 2019, quelli di cui si sente meno parlare.

Us

di Jordan Peele

L’ho recensito per esteso qua. Idea figa, esecuzione buona, grande interpretazione di Lupita Nyong’o. Forse il pregio maggiore di questi horror di Peele è che, nonostante il suo citazionismo, sono sempre originali e innovativi, c’è tanta creatività e pochi luoghi comuni. Al cinema sta sicuramente facendo meglio che in tv (non mi sono piaciuti The Twilight Zone e Weird City); sono molto curiosa di vedere come andrà con il suo remake di Candyman previsto per l’anno prossimo (se non conoscete l’originale, recuperatelo perché è un film davvero bello, invecchiato meglio del previsto — qui trovate un videoessay che ne fa un’analisi intelligente).

Pet Sematary

di Kevin Kölsch e Dennis Widmyer

Non ho problemi di nostalgia eccessiva per il primo adattamento di Mary Lambert, che ho visto solo una volta da ventenne (ricordo che mi era piaciuto ma non saprei dire altro). Ho letto recentemente il romanzo di Stephen King da cui sono tratti i film, apprezzandolo moltissimo — ve lo consiglio. Nel paragone con l’opera letteraria, il nuovo film non esce male (anche se il romanzo è migliore), ma rimane una cosa minore, per quanto gradevole. Ben riuscite le parti oniriche e la persecuzione dark-gotica nella sottotrama della sorella malata. Bastardissimo il trailer che spoilera un mega colpo di scena (c’è un cambiamento rispetto al romanzo). Anche il finale si allontana dall’originale, in una direzione accettabile. Visto il bel lavoro di Mike Flanagan con Gerald’s Game, altro adattamento kinghiano, azzarderei dire che nelle sue mani questo film poteva riuscire anche meglio di così.

Piercing

di Nicolas Pesce

Dramma psicologico sadomaso, con un’estetica che si rifà al giallo italiano mantenendo una sua originalità. È un film accattivante, ma non sembra avere chiarissimo il suo punto di arrivo e si conclude con uno stile più da cortometraggio che da lungo. Ottima Mia Wasikowska, mentre Christopher Abbott, nonostante il successo di questi anni, continua a sembrarmi qualcosa che non succederà mai. A Pesce è stato affidato il reboot americano della saga di The Grudge, anche in questo caso sono curiosa di vedere che ne farà.

Nightmare Cinema

B-movie a episodi che chiama in causa qualche nome importante come Joe Dante e Mick Garris (creatore dei Masters of Horror). Il film non è niente di eccezionale ma si fa guardare, anche se i momenti migliori sono quelli affidati a registi meno noti. Il più bello è This Way to Egress di David Slade (regista di Metalhead di Black Mirror), che propone un altro bianco e nero sporco e molesto, un mindfuck con qualche cenno a Cronenberg, con protagonista la sempre ottima Elizabeth Reaser. Non male anche il primo episodio, The Thing in the Woods di Alejandro Brugués, che riprende gli snodi da slasher campestre comprimendoli in un corto che skippa tutti i convenevoli inutili per lanciarci nel mezzo dell’azione e operare i suoi vari twist. Senza senso il racconto cornice con Mickey Rourke.

The Perfection

di Richard Shepard

Primo atto micidiale, il resto non è alla stessa altezza ma rimane un film acido e piuttosto divertente. Non riesce a staccarsi del tutto dalla famigerata medietà da cestone Netflix, però ci prova con più intensità rispetto ad altri. L’incastro di colpi di scena non ha un grande spessore concettuale, ma tiene viva l’attenzione dando un bel ritmo. Allison Williams deve rimanere nell’horror per sempre, è la sua cosa.

Body at Brighton Rock

di Roxanne Benjamin

Adoro le storie ambientate nei boschi. Questo è un film molto piccolo, povero ma tutto sommato efficace. Cerca di depistare e sorprendere con le sue svolte, un po’ ci riesce, un po’ no, ma fino a un certo punto è sufficiente l’angoscia creata con la solitudine di una notte in montagna a sorreggere il tutto, anche perché il set up del primo atto è ben costruito bene e viene speso per tutto il resto del film. Estetica scarna che però non compromette il risultato.

Happy Death Day 2U

di Christopher B. Landon

Mi è piaciuto meno del primo. L’ho trovato noioso, inutilmente macchinoso, uno spreco rispetto alle buone occasioni date da una trama che vorrebbe essere un Ritorno al futuro 2 (punto di riferimento fisso delle narrazioni con viaggio nel tempo che arrivano al secondo capitolo, ma difficilmente il film di Zemeckis viene omaggiato a dovere). I commenti in giro sono invece molto positivi, quindi dategli lo stesso una chance, magari sono io che non lo riesco ad apprezzare.

The Hole in the Ground

di Lee Cronin

Ripesca gli input di The Babadook ma non lo fa con la stessa sensibilità, finendo per ripeterne meccanicamente alcune dinamiche senza averne compreso il vero significato. L’ambientazione irlandese è suggestiva e stilisticamente si difende meglio di altri horror con lo stesso inflazionatissimo tema. Non mi ha fatta impazzire, però, dal suo tono vagamente art-house e la partecipazione al Sundance mi aspettavo qualcosa di più che non è arrivato.

Escape Room

di Adam Robitel

Horror senza pretese ma divertente. Frulla Cube e una versione edulcorata di Saw l’enigmista, di cui si intravedono in lontananza i prevedibili risvolti seriali. C’è un po’ di immaginazione nella costruzione delle ambientazioni, fa un lavoro onesto con i suoi spazi. Si potrebbe dire che quell’onestà viene meno nella scrittura, con un finale volutamente ambiguo per potersi adattare a un eventuale richiesta di sequel, per cui il film finisce per non rispondere alle varie domande che pone. C’è Deborah Ann Woll, che per me sarà sempre Jessica di True Blood.

A Vigilante

di Sarah Daggar-Nickson

Questo non è esattamente un horror, è più un thriller molto drammatico che però ha elementi survival, giustamente connessi all’idea all’origine di tutto: raccontare la storia di una sopravvissuta alla violenza domestica che diventa una vendicatrice, senza indugiare nello sguardo pornografico sulla violenza mostrata (anche se…) e dando spazio al racconto dell’esperienza delle vittime. Operazione nobile, non sempre coesa, ma comunque meritevole. Esecuzione austera e un’Olivia Wilde che ci crede tantissimo.

The Curse of La Llorona

di Michael Chaves

Questo è un film tecnicamente ben fatto, ma che mi ha fatta incazzare fuori misura per la sua disonestà nell’uso dei linguaggi horror. Il problemone è l’abuso di jump scare basasti sullo sbalzo improvviso del volume. Grazie al cazzo che mi viene un infarto, non c’è nemmeno bisogno che ci metti un film sotto: basta che sto nella sala buia e ogni tot minuti spari una luce, mettendo a mille una voce sempre uguale che fa AAAAAAAAGH. Questo è il film. Capisco che intrattenga, ci si può ridere su, a me però ha solo fatto venire un gran nervoso. La trama è terribile e basata su luoghi comuni catto-patriarcali che hanno incenerito quel barlume di pazienza che mi era rimasta.

Brightburn

di David Yarovesky

Di nuovo children del male, ma questa volta con una premessa simpatica, cioè: siamo sicuri che sia una buona idea adottare bambini atterrati nel campo dietro casa con un razzo? L’idea è raccontare l’infanzia di un ipotetico Superman alternativo, che al manifestarsi dei suoi poteri si scopre cattivissimo. Ne segue quindi il ribaltamento di scene iconiche legate al supereroe, incastonate in una trama un po’ troppo esile per poter dire che il film sia davvero brillante; rimane un esperimento in parte riuscito, che vedrei volentieri serializzato.

The Prodigy

di Nicholas McCarthy

Ancora bambini di Satana, ora però basta, non ne posso più. Questo film purtroppo non porta veramente niente di nuovo alla festa, e mi sembra un peccato piuttosto grave, visto che si è scelto uno dei sotto-generi più inflazionati del cinema horror. Gli altri film analoghi usciti nello stesso periodo almeno ci hanno provato, questo no. Come spesso accade, abbiamo la figura materna preponderante, come a dire che la mamma è sempre quella che si deve smazzare la faccenda — e sarà anche realistico, ma poi questi film finiscono per essere tutti uguali. Fatemene uno con un ragazzo padre, suvvia. The Prodigy aveva l’occasione di crearsi una sua peculiarità (il prodigio del titolo, l’intelligenza del bambino), ma invece quell’elemento viene subito perso per virare verso la una trama già vista mille volte, rendendo tra l’altro insensata la scelta del titolo.

Velvet Buzzsaw

di Dan Gilroy

La cosa incredibile è che il film precedente di Gilroy, Nightcrawler, è veramente bello: girato meravigliosamente, interpretato con intensità, scritto bene dallo stesso regista, che aveva partorito una specie di Una donna in carriera mixato a Taxi Driver (!). Una cosa originale, che sfotteva l’arco di conquista del successo di un self made man mostrandone la sociopatia, e allo stesso tempo si faceva beffe delle strutture narrative hollywoodiane. Ma dimenticatevi tutta questa roba, perché Velvet Buzzsaw è un banalissimo film da cestone Netflix. È incredibile la precisione con cui la piattaforma intercetta sempre le opere più deboli: ormai ha costruito un catalogo che sotto questo aspetto rasenta la perfezione, se non fosse per qualche rarissima eccezione (l’anno scorso Calibre e Annihilation). È un peccato, perché le premesse di Velvet Buzzsaw erano attraenti— satira del mondo dell’arte, storia di fantasmi sanguinari che possiedono le pitture maledette — ma la sua esecuzione è svogliata e priva di immaginazione, la storia non va da nessuna parte e le varie suggestioni evaporano nel niente. Cast di ottimi attori sprecati in ruoli scritti male.

Per ora è tutto, mi ritiro a guardare gli altri film della lista, che ormai è lunga come questo post.

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Sara Mazzoni
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Written by Sara Mazzoni

Podcast: Attraverso Lo Schermo. Scrivo di cinema e televisione.

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