FILM consigliati — Luglio 2018
Uscite Netflix e film recuperati in giro
Impressioni sparse sui film che ho visto di questi tempi. Robe vecchie, robe nuove, consigliabili. Tutte reperibili coi vostri potenti mezzi. Non ho i soldi per andare ai festival, ma a casa mia c’è una rassegna permanente. Sono film strani e inquietanti, quelli che preferisco. Verso il fondo ho messo qualche film più pecoreccio, perché ci vogliono anche quelli, e un paio di rewatch.
Gemini
di Aaron Katz (2017)
Piccolo noir nel mondo hollywoodiano, con una bella palette di colori costruita attorno al blu e all’ocra. Adoro le palme che sventagliano nel cielo crepuscolare. Cast meraviglioso (Zoë Kravitz, Lola Kirke). È uno dei film che ho più apprezzato ultimamente anche se non è nulla di rivoluzionario: una rilettura di generi classici, esteticamente ineccepibile, capace di creare atmosfere. Ha un gran bel poster. La parrucca bionda di Lola Kirke non si può vedere. Qualche riferimento un po’ autocompiaciuto a Scream e alla narrativa meta, ma si fa perdonare. Non mi pare abbia grandi recensioni, a me invece è piaciuto particolarmente.
Thoroughbreds — Amiche di sangue
di Cory Finley (2017)
Altro film piccolo con due brave attrici giovani, è un thriller psicologico tetro e piuttosto classico. Non mi sembra che aggiunga granché al tropo dell’amicizia tra psicopatiche, però esegue il tutto in modo più che apprezzabile. Finale all’altezza della storia. C’è la lanciatissima Anya Taylor-Joy, futura diva, già attivissima (Split, The Witch…). In Italia uscirà al cinema il 2 agosto col titolo Amiche di sangue. Locandina pregevole.
They Remain
di Philip Gelatt (2018)
In un periodo in cui Weird e New Weird sono termini sempre più noti, un film come questo risulterà potabile a molti spettatori. Qualcuno lo ha definito un Annihilation con meno soldi. Il risultato è interessante, anche se a mio avviso si sente spesso che le idee ci sono, ma manca il mestiere per realizzarle nel modo migliore, più che mancare il budget. Si sente anche la curiosa vicinanza letteraria con Annihilation, perché questo è l’adattamento di un racconto di Laird Barron, uno scrittore di horror e weird di cui è stato tradotto qualcosa anche in italiano (io ho letto il suo romanzo La cerimonia, che ha buoni momenti di orrore cosmico). È un versante diverso del weird contemporaneo, rispetto a VanderMeer, ma hanno parecchi elementi in comune. Entrambi mi stimolano per certi versi e mi annoiano per altri, anche se l’Annihilation letterario per me è un capolavoro. They Remain fa la stessa cosa, ha qualche rallentamento e qualche caduta, ma ha anche un’atmosfera che si potrebbe dire “claustrofobica all’aperto” (e non intendo “agorafobica”). È un buon film per gente allegra come me. Il protagonista è William Jackson Harper, Chidi di The Good Place. Anche in questo caso, locandina straordinaria.
The Endless
di Aaron Moorhead e Justin Benson (2017)
L’ho aspettato per un anno, finché è uscito per l’homevideo. Premetto che non ho ancora visto Resolution degli stessi autori e ora sono pentita, perché sarebbe indicato guardarlo prima di questo film. Coincidenza vuole che esattamente come They Remain, The Endless si apra con una citazione di Lovecraft. In entrambi i casi, sappiamo cosa significa, è un avvertimento: stiamo entrando nel territorio delle Eldritch Abomination e degli antichi, ma soprattutto ci stiamo avvicinando all’incommensurabile, l’indescrivibile che fa scricchiolare le menti umane. È proprio in questo che secondo me il film riesce bene, cioè nel creare scene evocative di quel senso di impossibilità (per chi lo ha visto, la scena della corda su tutte), di irrazionale che dilaga nella realtà percepita. Per questo, è un film che mi è particolarmente caro. Non è un meccanismo a orologeria perfetto, qualche cosa è un po’ compiaciuta e altre sono buttate un po’ a cazzo. Però complessivamente l’ho trovato un grande trip, che è quello che chiedo a questo tipo di cinema (a tutto il cinema, in realtà). E continua la saga delle belle locandine.
Revenge
di Coralie Fargeat (2017)
Rape and revenge avventurosissimo. Il genere è problematico di per sé, con l’uso della violenza sulle donne come motore di una trasformazione in un essere più forte. Il primo atto mi è risultato sgradevole per l’insistenza nell’esposizione del corpo e della sensualità della protagonista filtrata dallo sguardo maschile in un modo che non mi è parso particolarmente critico. Fatte queste premesse, dalla svolta “Rambo” in avanti (puntualissima alla fine del primo atto), il film per me è diventato stupendo. Quattro attori, un deserto polverossissimo e sconfinato, il peyote, il body horror, la caccia, funziona tutto nel migliore dei modi, come un western gore che sa usare lo spazio e i movimenti dei personaggi in esso. Giudizio finale quindi positivo.
In Italia uscirà al cinema il 6 settembre, è un film che può valere la pena vedere sul grande schermo.
Ghost Stories
di Jeremy Dyson e Andy Nyman (2017)
Uscito per l’home video adesso, l’ho recuperato dopo averlo perso al cinema qualche mese fa. È l’adattamento di uno spettacolo teatrale che, da quel che ho capito, usa le tecniche dell’horror cinematografico sul palcoscenico. In quel senso, penso possa essere un’esperienza ben più significativa vederlo a teatro, perché un jump scare in un film di fantasmi e mostri al cinema ce lo aspettiamo e non aggiunge granché alla tensione horror, mentre trovarsi fisicamente immersi in quell’atmosfera deve essere ben altra cosa. Ciò detto, il film mi è comunque piaciuto molto per come usa la struttura a episodi tipica dell’horror di altri tempi, rimaneggiandola nella relazione tra singole storie e racconto cornice. Da un certo punto in avanti, diventa un incubo surrealista lisergico. Le singole storie inizialmente risultano un po’ monche, ma si capisce presto che c’è un messaggio da decodificare al loro interno. Sempre pregevoli Martin Freeman, specie nei ruoli inquietanti, e Alex Lawther, il ragazzetto di Shut Up and Dance di Black Mirror e protagonista di The End of the Fucking World, attore giovane che difficilmente si smarcherà dai ruoli da psicopatico, essendo così bravo a interpretarli.
The Beguiled
di Sofia Coppola (2017)
Finalmente recuperato, lo so che lo avete già visto tutti al cinema. Tensioni psicologiche southern gothic, con le bionde sofiacoppoliane tutte chiuse in una villa. Si sa già come andrà a finire dal primo secondo, ma è bellissimo seguire Nicole Kidman che ci medita sopra.
Calibre
di Matt Palmer (2018)
Film scozzese che non è horror, ma alla fine fa lo stesso effetto perché diventa volutamente un grande stress psicologico. Gente va nei boschi, tutto va male. Meet the residents. Tutti tropi classicissimi (e che a me piacciono molto), usati qui in un modo tutto sommato originale. Il suo pregio più grande è proprio quello di far saltare i nervi, mostrando quasi in tempo reale le cose che vanno a puttane, disgregandosi un pezzettino alla volta. Anche in questo caso, come in altri film sui generis, il punto è quello delle conseguenze portate dalle cattive decisioni, che di solito hanno a che fare con la violenza. Originale Netflix, lo trovate lì.
Beyond the Black Rainbow
di Panos Cosmatos (2010)
Anche questo me lo sono finalmente recuperato dopo anni e anni che stava lì a fare la muffa digitale, prima dell’uscita di Mandy, il nuovo film di Cosmatos (che attendo fiduciosa). Su Letterboxd si parla di Beyond the Black Rainbow come di un capolavoro, per cui mi si era creato un pregiudizio col quale la realtà ha fatto un po’ a pugni. È l’ennesimo film lovecraftiano di questa infornata, d’altra parte Lovecraft ha fissato le basi delle ossessioni orrifiche che ci siamo tirati fino ai giorni nostri, e un pessimista potrebbe dire che alcuni suoi elementi diventano sempre più attuali a mano a mano che il tempo passa e entriamo in questa specie di futuro che è il nostro mondo.
Detto questo, BtBR è un film lentissimo, rarefatto, forse più vicino alla videoarte che al cinema di genere (ma se ci siamo sucati Cremaster, possiamo dedicare un’ora e mezza a questo). Ha alcuni grandi pregi: crea un’atmosfera densa e allucinata, usa colori e luci in modo peculiare, è bello alla vista, è inquietante. Ha anche dei difetti che si nominano poco: a tratti noioso; non tutte le scene risultano credibili, c’è qualche momento in cui da avanguardista si sbilancia in avanti sfiorando il trash; le ultime sequenze non c’entrano un accidenti col resto del film e la scena finale è semplicemente ridicola. Però sono contenta di averlo visto e lo consiglierei soprattutto agli amici drogati.
Inquietantissimo parallelo con Stranger Things, che è agli antipodi in quasi tutto, ma ha un paio di elementi in comune: qui c’è una proto-Eleven, un’ambientazione anni ’80 replicata nella costruzione cinematografica, le musiche synthone etc.
How to Talk to Girls at Parties
di John Cameron Mitchell (2017)
Punk inglesi incontrano punk alieni, o qualcosa del genere. È simpatico, Elle Fanning è caruccia e pure il tipino non è male, amo il regista ma non l’ho trovato entusiasmante quanto speravo. Tuttavia, è gradevole e assurdo, anche se per me manca qualcosa. Consigliabile in una serata che volete leggera e al tempo stesso delirante.
Mr Nobody
di Jaco Van Dormael (2009)
Erano anni che lo volevo recuperare, poi però non lo facevo mai. Alla fine è uscito su Netflix. Che dire, quando è iniziato volevo spaccare il televisore da quanto mi sembrava pretenzioso. E un po’ lo è davvero. Eppure, andando avanti riesce a tirare fuori un’anima. Per me sta tutto nel modo in cui viene raccontata la totalizzante storia d’amore tra i due adolescenti. Poi sì, il tutto sta in una confezione post-moderna che decostruisce la forma racconto, roba che era nuova negli anni ’60, ma il risultato è dignitoso. Pensavo che la faccia di Jared Leto mi avrebbe disturbata molto più, ma è anche vero che per quasi metà film non si vede. Gli inserti surrealisti e fantascientifici sono esteticametne curati e conferiscono un tono ancora più strano alla struttura sregolata del film. Giudizio finale positivo, lo consiglio.
High-Rise
di Ben Wheatley (2015)
Visto che se ne era parlato male, non mi sono affrettata a cercarlo a suo tempo, pur avendo letto parecchi anni prima il romanzo di Ballard da cui è tratto (o proprio per quello?). Alla fine il film non mi è piaciuto molto, eppure non me la sento di sconsigliarvelo. Mi ha lasciato una sensazione sgradevole, che spesso indica l’efficacia di un testo. Non ha una trama vera e propria, è più che altro la cronaca febbrile dell’avanzare di un enorme caos. Protagonista Tom Hiddleston, argomento in favore della visione di questo film per parecchie persone.
Incendies
di Denis Villeneuve (2010)
Altro recuperone, lo metto qui verso la fine perché so che lo avete già visto tutti. Io sono una fan di Villeneuve da poco prima di Arrival, fin qui mi ero vista solo i film successivi a questo. Mi è piaciuto molto, anche se per l’intera durata del film mi sono chiesta come fosse venuto in mente al bianco franco-canadese Villeneuve fare un film su questa storia, adattata da una piéce teatrale di Wajdi Mouawad, un autore libanese naturalizzato canadese che parla appunto della guerra in Libano. Nel senso: encomiabile lo sforzo di Villeneuve per uscire dalla propria testa, non so se ci riesca sempre o se invece cada negli stereotipi, comunque non sta a me giudicare. Diciamo che ne ammiro il coraggio nello smazzarsi una materia come questa. È un film appassionante, alla fine del quale vi ritroverete a urlare NUOOOOOOOOOOOO, con un forte senso di nausea, anche se non è un horror, uno splatter o che, anzi, è un bel drammone costellato da momenti e scene allucinanti, nel senso tragico. Da noi uscito come La donna che canta. Per ora lo trovate su Netflix.
Scare Campaign
di Cameron Cairnes e Colin Cairnes (2016)
Slasher australiano ambientato sui set di un reality show, con annessa satira obbligatoria sulla decadenza della televisione. L’idea è carina, anche se si sviluppa in un modo che ho trovato scontato, specialmente per la prevedibilità dei colpi di scena. Siamo in un particolare sotto-genere in cui ormai deve essere difficile arrivare con un’idea ingegnosa e fresca, abbiamo davvero visto tutto e il contrario di. Ne avevo letto come di chissà quale capolavoro, per cui sono rimasta un po’ interdetta trovandomi di fronte a un film onesto ma piuttosto ordinario. Rimane dignitosissimo e si fa vedere con molta meno noia di altri film il cui punto è lo sterminio dei personaggi.
Truth or Dare
di Jeff Wadlow (2018)
Ne parlavano tutti malissimo, alla fine mi è piaciuto. Con 20 asterischi: ce lo si gode proprio in quanto film trash, solo in quell’ottica è davvero divertente. Le critiche che forse avete letto sono tutte corrette: non c’è sangue, le regole del demone di turno sembrano aggiustarsi all’occorrenza, i personaggi sono odiosi. Ma devono esserlo, siamo venuti a vederli schiantarsi. In suo favore: incastra bene l’alternanza di obbligo e verità, la cosa più difficile da far apparire sensata, finché si puntella sullo spiegone per presentare la “nuova regola”, che comunque tutto sommato ci sta. Solo se vi piacciono Final Destination, Urban Legend etc., se guardate solo horror art house o film ultra-splatter non ve ne farete nulla.
The Purge: Election Year
di James DeMonaco (2016)
Confesso che questo è il primo Purge che guardo, l’ho trovato su Netflix. È il terzo su 4, ma direi che non aver visto i precedenti non crea grandi problemi, anche data la semplicità grandiosa della premessa (per una notte all’anno, negli USA sono sospese tutte le leggi e nulla è reato). L’ho preso con zero aspettative e quindi mi sono divertita. È chiaro che non potete guardarvi un Purge pensando di trovarci un profondo testo politico o del grande cinema, però alla fine fa il suo lavoro di B-movie dichiarato meglio di tanti altri. Con calma penso che me li vedrò tutti.
BONUS REWATCH
Visto che sono finiti su Netflix in questi giorni, mi sono riguardata con grande piacere un altro paio di horror. The Witch (o The VVitch) di Robert Eggers (2015), che avevo recensito a suo tempo qui, trovandolo persino migliore in lingua originale (l’avevo visto al cinema doppiato). Amore per la voce di Ralph Ineson, che sembra avere un distorsore al naturale; per il coniglio di Satana, che incredibilmente riesce a essere spaventoso (ma è un coniglio o una lepre?); per quella scena che proprio mi ero scordata, quasi all’inizio del film — se volete consideratelo SPOILER, ma secondo me lo potete anche leggere — in cui si intravede una sequenza in cui inequivocabilmente un neonato viene squartato cosicché la strega possa cospargersi del suo giovane sangue. Graziosa.
Altro grande rewatch, finalmente a 6 anni dall’uscita ho rivisto The Cabin in the Woods di Drew Goddard, scritto con Joss Whedon (2012), che è bellissimo, c’è poco da fare. Non è tanto un horror di paura quanto un film satirico, che usa ancora una volta i cliché lovecraftiani cercandone una nuova chiave di lettura contemporanea (diciamo da era post-reality show). Da vedere anche questo ovviamente in lingua originale.