FILM consigliati — Agosto 2018
Come sempre, film dell’orrore e cose strane
Pyewacket
di Adam MacDonald (2017)
Horror di evocazione occulta, uno dei miei sottogeneri preferiti. Lo sviluppo della storia è classico, ma funziona perché è diretto con cura, con un senso di realismo documentario attraverso inquadrature che non risultano mai sguaiate né troppo tremolanti; è montato con altrettanto gusto, usando una serie di ellissi per oltrepassare l’ovvio e lasciare un senso di mistero e minaccia incombente che aleggia dall’inizio alla fine. Attrici televisive giuste per le loro parti, madre bionda e lacrimosa e figlia metallara tutta oscurità e ribellione. Molto bello l’apparato soprannaturale e horror. È un film piccolo che non fa mai trapelare l’oppressione di un basso budget, è curato ed elegante pur rimanendo semplice. Per me è tra gli horror migliori usciti quest’anno, anche se lontano diverse leghe da Hereditary, il più bello.
Under the Shadow
di Babak Anvari (2016)
Film dell’orrore intelligente che riesce a mettere insieme in modo armonico tre cose spaventose, senza risultare eccessivamente ambizioso: la guerra tra Iran e Iraq negli anni ’80; la condizione delle donne in Iran in quel periodo (orrenda); i jinn, creature soprannaturali piuttosto invadenti. Viene associato a The Babadook non a sproposito, vista l’ansia che lo permea e l’appartenenza al sottofilone “madri stressate”. Ci sono diversi jump scare che risultano particolarmente violenti perché accadono più o meno tutti in piena luce. Lo trovate su Netflix col titolo L’ombra della paura.
Dig Two Graves
di Hunter Adams (2014)
Film del mistero, gotico e fiabesco, curatissimo visivamente: illuminazione, scenografia, fotografia, musiche, tutto meraviglioso. Il clima è oscuro, ma è potabile anche per chi non è fan dell’horror. A me è piaciuto moltissimo e spero di vedere qualcos’altro di Adams, prima o poi, anche se sembra sparito nel nulla.
Anomalisa
di Charlie Kaufman e Duke Johnson (2015)
Erano 3 anni che volevo vederlo e non lo facevo mai. Mi respingeva per via dei colori marroncini, gli interni claustrofobici, il rischio che fosse solo un delirio nonsense di Charlie Kaufman. Poi è uscito su Netflix, è passato il tempo ed è arrivato il giorno in lo rimuovevano dal catalogo, così l’ho guardato e mi è piaciuto un casino. È un film coi pupazzetti. C’è un motivo, per questa scelta, lo si capisce guardando il film. La storia è un trip malato dentro un blocco patologico che condiziona la visione che il protagonista ha del mondo. Lui non è una brava persona, è il classico omino bianco etero cis di mezz’età schiavo del proprio egocentrismo. Il film attraversa tutta la sua crisi senza assolverlo. Incredibile come un film di animazione finisca per essere più realistico così che se fosse girato in live action. Mi spiace consigliarvelo ora che l’hanno appena tolto da Netflix, ma sapete cosa fare.
Always Shine
di Sophia Takal (2016)
Thriller psicologico fatto con pochi mezzi, puntando sull’espressività delle due interpreti e sulla sceneggiatura, è soprattutto uno studio dei personaggi. Riesce a creare un clima asfissiante attraverso il confronto tra le due protagoniste, apparentemente grandi amiche ma in perenne conflitto, e la regia, che costruisce un’atmosfera di pericolo incombente. Mi piacerebbe vedere altro di questa autrice.
Downsizing
di Alexander Payne (2017)
Ho aspettato un po’ a vederlo perché ne avevo sentito parlare diffusamente male. Alla fine mi è piaciuto. È un film storto, strano, non si capisce mai bene in che direzione vada — ma non è per forza un difetto. Parte con un “What If” a metà tra Black Mirror e una commedia fantastica: che succederebbe se una parte della popolazione mondiale si facesse rimpicciolire fino a misurare 12 centimetri? Ironicamente, proprio un film intitolato Downsizing è lunghissimo, con due ore e dieci forse necessarie, forse no. Ho apprezzato tutta la parte introduttiva, in cui viene esplorata la premessa, fino a mostrare nei dettagli la procedura di miniaturizzazione in una scena che ho trovato affascinante, anche se è girata in chiave comica. Forse quello che non torna del film è un’indecisione sul tono, che sembra quello faceto da commediola con elementi fantastici, ma poi esplora temi e situazioni decisamente drammatici. Non è sempre all’altezza delle proprie intenzioni, però il risultato è così strano da renderlo molto interessante.
The Cleanse
di Bobby Miller (2016)
Stranissimo film fantastico con tinte horror in cui ci sono animaletti a metà tra il puccioso e la schifezza. La metafora è un po’ urlata, però è una visione consigliata se vi piacciono le cose bizzarre. Dura veramente poco e il protagonista è Leonard di Big Bang Theory. È finito nella top 10 degli horror di quest’anno su Rotten Tomatoes (negli USA è stato distribuito a maggio).
Kill List
di Ben Wheatley (2011)
Rilettura di Ben Wheatley del folk horror inglese, attraverso la storia di due sicari in completo e pistola. Paradossalmente, la parte più claustrofobica e angosciante è il primo atto, in cui non c’è ancora né violenza esplicita, né alcunché di horror, ma soltanto la realistica descrizione di una cena durante la quale si esasperano i problemi di coppia del protagonista e della moglie. La serie di omicidi del titolo (Kill List) sono una boccata d’ossigeno rispetto al clima domestico che prepara il terreno all’avventura. Wheatley gira stando attaccato ai suoi soggetti, escludendo lo spazio circostante e trascinando il pubblico nell’incubo delirante che forse — ma forse no — sta vivendo il personaggio principale (l’ormai iconico Neil Maskell). È un Rosemary’s Baby con protagonista un assassino a pagamento, si potrebbe dire. Tutto quello che accade nel film può avere due spiegazioni: può essere la storia di un uomo che impazzisce come quella di un terribile complotto esoterico. È il film più riuscito tra quelli di Wheatley che ho visto finora, ma non aspettatevi grandi spiegazioni nel finale.
The Purge
di James DeMonaco (2013)
Come promesso, mi sto recuperando questa saga thriller-horror di home invasion, un genere che non mi è mai piaciuto molto. Ma la premessa distopica di questi film è talmente efficace da rimescolare le carte in tavola. Sono dei b-movie senza appello: anche questo, il primo capitolo, non ha quali capacità di analisi socio-politica, nonostante le aspirazioni. I personaggi sono macchiette in un mondo grottesco, un po’ come le maschere indossate dai cattivi. Eppure, è un bel filmetto, con una dinamica thriller che lo sostiene fino alla fine, tant’è che la vera e propria invasione arriva solo nel terzo atto — fatto che ho apprezzato parecchio. Da guardare però con spirito trash per apprezzarlo davvero.
Film di/con/su zombie
Quattro titoli, tutti che cercano variazioni sul tema, spesso imbroccando belle soluzioni. The Girl with All the Gifts di Colm McCarthy (2016), su Netflix, parla di zombie di seconda generazione e fa angosciare più per il pessimo trattamento subito da questi bambini che per le parti horror. Bellissimo il finale. The Cured di David Freye (2017) invece prova ancora un’altra variazione, che vi sarà familiare se avete visto la serie inglese In the Flesh: le persone contagiate dal morbo sono state curate, ora sono tornate normali. In questo film irlandese, gli ex zombie sono discriminati e la faccenda prende la piega di un dramma politico con lotte tra fazioni avverse. Su Netflix è appena uscito Cargo di Yolanda Ramke e Ben Howling (2017), film australiano che si concentra su cosa succede nelle ore precedenti alla trasformazione da umano a zombie. Infine, per non farsi mancare nessuna angolazione sul tema, c’è il film danese What We Become di Bo Mikkelsen (2015), in cui vediamo l’esplosione dell’epidemia dal punto di vista di una famiglia che viene messa in quarantena, col panico di chi non sta capendo nulla di quello che accade.
Quelli che mi sono piaciuti di più
Ve ne ho già parlato in recensioni dedicate: i film migliori che ho visto in questa abbondante rassegna estiva sono l’horror Hereditary di Ari Aster (mia recensione) e un film uscito direttamente su HBO, The Tale di Jennifer Fox (mia recensione), entrambi del 2018. Trigger warning: The Tale parla di violenza sessuale sui minori, Hereditary può fare molta paura.
Note negative: gli sconsigliati di Netflix
Questi proprio non mi sono piaciuti, l’indicazione è di non guardarli.
Veronica di Paco Plaza (2017), su Netflix, è un horror spagnolo che ha un’ottima reputazione. Ma non saprei dirvi perché. Ambientato nel 1991, sembra esattamente un b-movie di quel periodo, illuminato come una fiction RAI e scenografato in stile “è scoppiata una bomba in casa”. Il film più sopravvalutato dell’anno, forse perché il regista aveva fatto Rec che è un film di culto.
Andrew Niccol è un altro regista che ha sul curriculum un buon film di fantascienza sociale, Gattaca, e che quest’anno ci ha regalato Anon, una robaccia uscita direttamente su Netflix nel 2018. Se volete continuare a rispettare Clive Owen e Amanda Seyfried, non guardatelo. Scrittura accartocciata, buchi di sceneggiatura, personaggi senza spessore che si muovono a caso, trama rubata a Seduzione pericolosa, apparato visuale orrendo, regia mediocre.
L’irlandese Bad Day for the Cut di Chris Baugh (2017) è un tentativo di copiare un revenge movie eccellente come Blue Ruin di Jeremy Saulnier (2013) senza avere lo stesso carisma. Guardate quello di Saulnier, se vi manca, e saltate a piedi pari questo qua, che stranamente si è fatto una buona fama tra gli utenti di social come Letterboxd.
Bene! È tutto
Mi è rimasto qualche titolo fuori, tra cui anche mother!, che ho finalmente visto. Ve li metterò nel prossimo numero, perché suppongo che nessuno sia arrivato a leggere fin qua.