Best of 2018 — SERIE TV

Quello che mi è piaciuto di più tra novità e ritorni

Sara Mazzoni
10 min readDec 28, 2018
A scanso di equivoci, Wild Wild Country

Questo è un sommario strettamente personale: conta soprattutto il mio gusto, non ci sono misurazioni “oggettive”; per quanto sia possibile concentrarsi con competenza sulla struttura degli episodi, la qualità della recitazione, la coerenza estetica di un format, non credo che questi indici possano mai essere davvero oggettivi. La somma delle parti produce qualcosa di imprevedibile, e una delle componenti fondamentali è la persona che guarda, l’effetto che l’opera ha su di lei. Per questo, dico che è tutto strettamente personale. Nel fare critica tv è fondamentale per me non dimenticare l’importanza della mia partecipazione emotiva alle visioni, il piacere della fruizione. Cerco di evitare quando possibile i binge watching forzati, la rincorsa alla novità a tutti i costi e la visione su supporti inadeguati.

Sempre da un punto di vista strettamente personale, affermo che il 2018 è stato un’annata dignitosa per la serialità televisiva. “Dignitosa” e non “eccezionale”: la media è alta, ma non ho trovato tante novità davvero eccitanti (qualcuna sì), e mi è mancato lo status quo popolare, con le serie grosse che sono rimandate al 2019 (Game of Thrones, Stranger Things, The Crown…). Sono usciti moltissimi titoli davvero buoni: pochi mi hanno entusiasmata, ma, per contro, sono numerosi quelli meritevoli di una menzione. Ho fatto una divisione in sezioni perché, esclusi pochi show, c’è una vasta quantità di parimerito.

Dove c’è un link, trovate la mia recensione.

L’amica geniale

Le novità ovvie — Migliori serie tv del 2018

Tra le cose nuove che sono uscite, mi viene quasi la nausea a citarne alcune: sono in ogni classifica, nella mia bolla social sono state discusse con grande partecipazione al momento dell’uscita. Ma è inevitabile anche per me menzionare:

  • Killing Eve, la strana serie spionistica di Phoebe Waller-Bridge, che ha il pregio di puntare tutto su personaggi femminili antieroici, legati da una folgorazione queer.
  • L’amica geniale di Saverio Costanzo, ottimo adattamento dei romanzi di Elena Ferrante. Ho molto amato entrambi per come raccontano la dolorosa esperienza storica di essere femmina in Italia.
  • Tornando indietro di quasi un anno, c’è The End of the F***ing World, succinta e folgorante novità british su Netflix, coming of age ruvidissimo e avventura on the road.
  • Sharp Objects, adattamento del bel romanzo d’esordio di Gillian Flynn, serie d’autrice e d’autore perché creata da Marti Noxon e diretta da Jean-Marc Vallée, con un trip cerebrale che è stato un buon intrattenimento durante un’estate piuttosto scarna.
Patrick Melrose

Le novità del cuore — Migliori serie tv del 2018

Snocciolate quelle d’obbligo, ecco quelle che mi hanno personalmente colpita di più, tra cui ci sono gli unici momenti di entusiasmo vero e proprio che ho provato nel 2018 seriale.

  • Wild Wild Country, documentario in 6 parti prodotto dai fratelli Duplass e distribuito da Netflix, per me è la serie dell’anno. Raccontando con una marea di materiale di archivio la storia della setta del santone Osho, dimostra la potenza della non fiction. Ha una costruzione narrativa ineccepibile, fondata sugli stessi principi della fiction (invalidando la distinzione in categorie distinte), ma prende ancora di più proprio perché sai che la storia che ti sta raccontando è vera. Il lavoro fatto sui filmati di repertorio è incredibile, una ricerca e un montaggio degni di Herzog alle prese con Grizzly Man.
  • Patrick Melrose, miniserie creata da David Nicholls, con Benedict Cumberbatch nei panni di un protagonista che più tormentato non ce n’è. Ottimo il lavoro di adattamento dal ciclo di romanzi Edward St Aubyn, che riesce a essere fedele al testo rendendolo addirittura migliore (la serie è meglio dei libri). Racconto di redenzione e di trauma, un’opera pesante ma per me tra le migliori esperienze dell’anno.
  • The Haunting of Hill House del regista horror Mike Flanagan. L’adattamento più odiato del 2018 (dai puristi di Shirley Jackson) per me è stato eccellente. Non è perfetto, ma i suoi primi 5 episodi sono l’unione ben riuscita di orrore spaventoso, dramma familiare e racconto character driven alla Lost. Il libro di Jackson in effetti non c’entra molto, ma se si supera questo shock ci si può godere quella che è stata una delle novità più interessanti di questo anno.
  • Wanderlust, dramedy inglese di formato abbondante (episodi da un’ora) in cui si affrontano sessualità e vita di coppia dal punto di vista di una cinquantenne spregiudicata e a culo col mondo, interpretata da Toni Collette. Si parla di poliamorismo, coppia aperta e rapporto tra sesso e morte.
  • Castle Rock prodotta da J.J. Abrams per Hulu, basata sull’universo narrativo di Stephen King. Non è horror, c’è più la nota fantasy e weird, in un’investigazione a combustione lenta nel personale del protagonista. Risente a volte di un’estetica un po’ troppo understated, che riesce però a risultare efficace lo stesso, nonostante l’aspetto da tv vecchiotta.
Legion, stagione 2

I ritorni — Le migliori serie tv del 2018

  • The Good Fight, stagione 2. Finalmente trova la sua dimensione, satirica, drogata, disperata e abrasiva. Svecchia la già ottima The Good Wife (una delle mie serie preferite di sempre), superando alcuni intoppi della prima stagione. Il ritorno migliore del 2018.
  • Legion, stagione 2. Sono riuscita a guardarla tutta da sveglia, a differenza della prima stagione. Mi è piaciuta di più perché ha lasciato andare l’ultima parvenza di racconto convenzionale, in cambio di un’esperienza totalmente deragliata e allucinatoria. Aubrey Plaza incredibile e fighissima.
  • The Marvelous Mrs Maisel, stagione 2. Meno significativa della prima, ma ancora di ottimo livello. Bella l’ambientazione nelle Catskills e la presenza forte del personaggio di Susie. Mrs Maisel è più antipatica, con la sua sovrabbondante mistica della femminilità e tonnellate di privilegio, ma tutto sommato è più realistica dell’eroina senza macchia della prima stagione.
  • American Horror Story — Apocalypse, stagione 8. Delirante e camp come non mai, la stagione è una gioia per i fan, incrociando Murder House con quello che è tutto sommato un sequel di Coven. Particolarmente divertente con la sua comicità macabra e poco seria. Può infastidire se si cerca l’horror puro.
American Horror Story — Apocalypse
  • The Affair, stagione 4. Dopo una terza stagione incredibilmente brutta, la serie si riprende a sorpresa con una stagione ben più interessante, che fa da ponte alla conclusione che arriverà nel 2019. L’odioso Noah non è mai stato tanto preso in giro dalla narrazione; alcuni episodi funzionano bene come piccoli racconti incasellati nella trama generale; c’è uno humor che sembrava scomparso.
  • GLOW, stagione 2. La serie sulle wrestler anni ’80 di Netflix quest’anno trova uno spessore vero e proprio. Sempre ottimo il cast e l’ambientazione, riesce finalmente a problematizzare questioni appena sfiorate nella stagione precedente. Una commedia solida.
  • The Americans, stagione 6. La fine di un’epoca, e direi la fine adeguata. Amarissima e commovente, con i momenti di violenza feroce che amiamo, la disperazione esistenziale delle spie, l’umorismo perverso. Non una novità, ma la conclusione che ci voleva.
Barry

Menzioni onorevoli — Le migliori serie tv del 2018

Torno alle novità di quest’anno: queste non sono il top del top, ma sono comunque tutte valide e soprattutto consigliabili se non le avete ancora guardate.

  • Barry, dramedy che si potrebbe anche dire tragedy. Creata da Alec Berg e Bill Hade per HBO, è una novità peculiare e fuori dai generi.
  • Succession, dramma familiare HBO scritto come se fosse una puntata di VEEP. Un po’ vecchio nelle caratterizzazioni e nei conflitti, ma davvero molto divertente nelle battute. Ottimo Kieran Culkin.
  • The Little Drummer Girl, miniserie di spionaggio con la regia di Park Chan-wook, appassiona nonostante qualche cliché di troppo.
  • You, thriller psicologico e satirico appena uscito su Netflix: la commedia romantica raccontata dal punto di vista dello stalker. Una bella novità.
  • The Terror, prima stagione di una serie antologica: qui siamo dispersi tra i ghiacci polari con un gran bel cast.
  • The Bisexual di Desiree Akhavan, rom-com queer per Hulu, molto piacevole.
  • Vida di Tanya Saracho, bel dramma familiare queer di ritorno alle origini, con una fotografia pazzesca che ritrae un sobborgo latino di Los Angeles.
  • Forever di Alan Yang e Matt Hubbard, commedia fantastica surreale e inquietante, su Prime Video.
  • Kidding con Jim Carrey e la regia di Michel Gondry, unione di estetica pucciosa e dramma esistenziale.
Homecoming

Piluccate o mancate — Le migliori serie tv del 2018

Siccome non posso vedere tutto, qui trovate sia quello che potrebbe non essere stato nominato per mia mancanza, sia alcune delle cose che ho lasciato lì perché non mi hanno ancora fornito abbastanza motivi per andare avanti.

  • Della britannica Bodyguard ho visto solo il validissimo primo episodio, ma ho letto pareri contrastanti sul resto della stagione (anche se la finirò di sicuro).
  • Ho iniziato anche Collateral, che sembra un poliziesco interessante per i suoi temi, ma che finora non ho mai completato.
  • Della serie italiana Il miracolo ho visto due volte il primo episodio perché continuavo ad addormentarmi. Ma ne ho sentito parlare talmente bene che la devo finire per forza, anche perché quella puntata mette subito in chiaro che di carne al fuoco ce n’è tanta.
  • Con Homecoming stesso problema. Come anche con la prima stagione di Legion (a cui assomiglia), ho apprezzato lo stile visivo roboante, ma non sono rimasta sveglia. Vi farò sapere più avanti.
  • The Kominsky Method, gradita a molti, l’ho cominciata, ma non mi è venuta voglia di continuare.
  • Mancanza che invece mi spiace e che sto cercando di colmare: le due stagioni di Channel Zero uscite nel 2018. Intendo recuperarle al più presto perché ho grande stima per la serie, di cui ho apprezzato le altre stagioni.
  • Le altre due di Ryan Murphy uscite quest’anno: entrambe iniziate e abbandonate. American Crime Story — The Assassination of Gianni Versace non mi ha convinta come la stagione precedente, che ho invece molto amato, e per ora sono ferma ai primi 3 episodi. Pose l’ho accolta con entusiasmo, ma una certa stereotipizzazione del dramma queer mi ha fatto arrestare la visione dopo pochi episodi. Penso comunque di riprenderla.
  • La stagione 2 di Atlanta devo ancora finirla, non so nemmeno io perché, trattandosi di una delle cose più interessanti della tv attuale.
  • Sorry for Your Loss: la voglio guardare, ma mi mette in difficoltà il tema del lutto per ragioni personali.
  • Crazy Ex-Girlfriend, stagione 4: l’ho appena iniziata con scarsissimo entusiasmo, dopo una stagione 3 che ho trovato orrenda.
  • The Romanoffs: se Matthew Weiner crede che mi guarderò i suoi episodi autoconclusivi da un’ora e mezza, deve essere convinto di trovarsi ancora nel 2010. Ho comunque fatto un blando tentativo, ma sono durata 20 minuti.
  • Lodge 49: la vedo in molte classifiche, io invece l’estate scorsa ho guardato il pilot e l’ho salutata senza rimpianti.
  • Bandersnatch di Black Mirror me lo vado a vedere adesso e ne parlerò poi con calma più avanti.
BoJack Horseman

Le delusioni — Le migliori serie tv del 2018

Ecco invece quello che per me è andato storto, le novità e i ritorni che proprio non mi sono piaciuti:

  • The Good Place, stagione 3. Una delle mie serie preferite, ma i nuovi episodi non mi sono piaciuti. La faccenda non funziona quando si esce dalla dimensione fantastica, mancano le gag assurde dell’altro mondo, le battute non fanno più ridere. Ancora peggio, si è persa la cattiveria di Eleanor, elemento cardine dello show: mi serve che quella donna sia un essere umano orribile, non una santa redenta. Ora non so più con chi identificarmi.
  • Into the Dark, serie antologica prodotta da Blumhouse. Finora sono usciti 3 episodi. Tutti con idee carine, ma un solo grave difetto in comune: un formato troppo lungo (90 minuti) che non è supportato da uno sviluppo adeguato delle storie.
  • Camping US, di Lena Dunham e Jenni Konner. Adattamento americano di una serie che aveva più senso nella versione inglese, è un disastro. Dunham, tra l’altro, negli ultimi tempi sembra umanamente alla deriva: era uscita dal 2017 come un personaggio brutto, con la sua presa di posizione contro l’attrice Aurora Perrineau nell’ambito di un’accusa di molestie sessuali rivolta a un collaboratore di Dunham. Le sue scuse tardive, arrivate a dicembre, non hanno migliorato la situazione.
  • BoJack Horseman, stagione 5. La ripetizione degli stessi schemi è una caratteristica del personaggio, ma dopo 5 stagioni la faccenda è diventata noiosa.
  • Dietland, stagione 1. La serie ha nobili intenti nell’ambito della body positivity, ma pecca nel descrivere la sua protagonista obesa, caratterizzandola esclusivamente attraverso il fatto di essere grassa e attribuendole solo qualità negative: è depressa, si autopunisce, è ossessionata dalle diete, si disprezza. Un quadro maldestro e involontariamente offensivo, di certo non la rappresentazione che vorrei di me stessa in un mondo che odia le persone grasse.

Ma la più grande delusione del 2018 è stata la chiusura di tutti i siti di fansubbing italiani. Una misura che non pareva necessaria, ottenuta attraverso la minaccia, per distruggere proprio quelle comunità che hanno creato la cultura della televisione contemporanea nel nostro paese. Una gran tristezza.

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Sara Mazzoni
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Written by Sara Mazzoni

Podcast: Attraverso Lo Schermo. Scrivo di cinema e televisione.

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